C’è una bici su cui si può pedalare in avanti, ma anche all’indietro. La catena fa una specie di 8 e permette due pedalate: in senso orario in pianura e in senso antiorario di salita. La bici si chiama Rétro-Direct, è della Cycles Hirondelle, francese, del 1925 circa, e pesa quasi 19 kg.
C’è una bici pieghevole, in acciaio, battezzata Handy Bike, maneggevole, ma a essere sinceri maneggevole non è: pesa più di 15 kg. Prodotta dalla Diamant, tedesca, del 1993, “per trasportarla a mano serve la forza di un bue” e un’etichetta sul telaio avverte che non è adatta per il traffico stradale, i viottoli di campagna, i sentieri nei boschi...
C’è una bici studiata non per le gare su strada o su pista, ma nei teatri. Si disputavano all’inizio del Novecento, anche in alberghi e locande, d’inverno: bici sui rulli, esibizioni quasi circensi, fra acrobazie e danze. Si chiama Rabeneick, tedesca, del 1955, monomarcia a scatto fisso, in acciaio.
C’è perfino un monopattino che cresce fino a diventare una bici, montando catena, tubo piantone, sella, pedivelle... E’ la Dusika, austriaca, del 1960 circa, e anche per il prezzo non ha avuto successo.
Centododici bici, più o meno felici, più o meno fortunate, più o meno vincenti, ma tutte speciali. Sono quelle selezionate, mostrate e spiegate in “Ciclopedia”, un libro inglese scritto da Michael Embacher e pubblicato da L’ippocampo, con la prefazione di Paul Smith e le foto di Bernhard Angerer: 304 pagine, 510 illustrazioni, 19,90 euro.
Autore ed editore si sono fatti sedurre dalle forme dei telai, dalla stravaganza degli usi, dalla particolarità di dettagli e caratteristiche, forse anche dai destini imprevedibili nelle storie dei modelli. Come l’elegantissima Colnago, del 1979, equipaggiata e verniciata oro e nero secondo lo stile lussuoso, tedesco di Francoforte, della Brugelmann. Come la vertiginosa Laser della Cinelli, del 1985, una macchina studiata per infrangere record, poi elaborata anche per tandem e modelli rivoluzionari e futuristici. Come la misteriosa Messenger Bike, italiana, del 1978, a scatto fisso. O come la Rigi, che sta per Rinaldi Giorgio. O come la Cesare M, che non nasconde un telaista o un designer o un artista, ma è un marchio di fantasia. Perché la vita è così: pedalando si fantastica.
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