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Egregio direttore, mi presento brevemente, per chi non mi conoscesse: mi chiamo Pierumberto Zani detto Pio, ho corso da agonista fino a 25 anni, togliendomi anche qualche bella soddisfazione, la mia “carriera” è stata influenzata da infortuni e problemi fisici che si potevano evitare se avessi corso oggi, ma erano gli anni ’90, c’erano molta ignoranza e poca cultura, il ciclismo era un altro sport e fortunatamente oggi è cambiato. A parte questo, sono stato presidente di una Squadra di Under23 e nel 2009/10 e 2011 sono stato General Manager di Katusha al fianco di Andrei Tchmil (grande persona), sono stato poi in Katusha fino al 2017, ho lavorato con persone incredibili del ciclismo mondiale.
Con Sandro Callari mi interfaccio quotidianamente, schietto e sincero come piace a me, ho imparato cosa è giusto e cosa è sbagliato, abbiamo lanciato ragazzi come Purito e Paolini e “scoperto” altri come Kristoff e Zakarin, adoravo lavorare con i giovani e mi piace ancora moltissimo, tanto che ho una squadra di giovanissimi, e ne supporto un'altra che arriva fino agli Allievi.
Detto questo, veniamo al dunque: al male del ciclismo italiano oggi. Potremmo parlare di progetti, idee e cure, ma se non conosciamo la causa rischieremmo di parlarne invano. I sintomi sono ben noti, i nostri giovani faticano ad emergere e a confermarsi, ma perché? Oggi sarebbe facile programmare la loro maturazione, abbiamo dei mezzi oggettivi e reali, che purtroppo però non vengono sfruttati.
Partiamo con un dato importante, oggi abbiamo il 20% di ragazzi nel WT che sono Under23, e in quasi tutte le Nazioni della Top Ten del Ranking Mondiale; dietro di loro ci sono altrettanti giovani pronti a fare il salto, da noi invece non è così, infatti siamo la Nazione col il maggior numero di Continental ma nonostante questo i nostri Team Continental sono tra i peggiori al Mondo: questo perchè manca sostanza e un attività internazionale di qualità, problema che ha origine ancora più indietro, dalla categoria Juniores.
Prendiamo come riferimento il Ranking Juniores: a punti ci sono 529 ragazzi, il 5% sono italiani, l’8% belgi, il 13% francesi, 7% olandesi, e infatti queste sono anche le nazioni che ci precedono nel Ranking Mondiale tra i Prof.
Ora vediamo nel dettaglio l’attività Internazionale di questi ragazzi: il miglior belga ha all’attivo 19 giorni di gare internazionali, il miglior francese 16 giorni, l’olandese ne ha 14, il tedesco 16, l’inglese 10, lo spagnolo 10, l’australiano 15, lo sloveno 10, il portoghese 12, l’americano 14, il norvegese 14, l’estone 7, il danese 10 e il miglior italiano 4 giorni. Già da questo prospetto emerge qualcosa: la nostra Federazione non sta dedicando la giusta attenzione ai nostri giovani.
Fino ad ora la crescita dei giovani è stata lasciata al caso e in Italia sono “sopravvissuti” i giovani che non hanno esagerato con gli allenamenti e che non hanno subito infortuni: oggi lavorare con i misuratori di potenza, i biomeccanici e i preparatori non vuol dire esasperare il ciclismo, ma preservare i giovani da inutili problemi.
Tanti ragazzi non sono emersi perché non è stata data a loro la possibilità di esprimere i loro potenziali, molti si sono esauriti prima pedalando verso il peggiore dei mali, ovvero l’Over Training, e tanti altri sono stati vittime di problemi fisici che si potevano facilmente evitare.
Allenarsi con un “oggetto” che ti consente di non esagerare, fa sì che la crescita sia progressiva e mai invasiva. La categoria di svolta è quella degli juniores, quando il ragazzo ha già raggiunto una maturità fisica che può consentire carichi di lavoro specifici, ma per fare questo servono mezzi e persone e la Federazione ha l’obbligo e il dovere di assecondare e supportare questi ragazzi ed eventuali strutture.
È indiscutibilmente inutile partecipare con la Nazionale a gare Prof, quando alla base si trascurano i giovani, non serve assolutamente a nulla portare ragazzi non idonei, o che già hanno il calendario fissato col proprio team, a gare come Laigueglia, Coppi & Bartali, Giro di Sicilia e via elencando, quando alla base si stanno trascurando i ragazzi che invece avrebbero realmente bisogno di fare esperienza.
“Ai miei tempi” è un’espressione che fa parte del passato, di un ciclismo “malato” e fatto di improvvisazione: oggi il ciclismo è cambiato, purtroppo molte persone no, in ammiraglia ci sono ancora le stesse “vecchie” facce e “teste” di quando correvo io.
Mi potrei dilungare ancora molto, anzi moltissimo, con numeri, aneddoti, esempi e paradossi, ma credo di aver descritto abbastanza chiaramente e concretamente un problema e indicato una possibile soluzione, poi per dilungarci ci sarà sempre tempo.
La ringrazio per quanto trarrà di buono da questa lettera.
Pio