Cento anni fa, domani, nasceva Margherita Hack. Astrofisica, guardando il cielo e osservando le stelle, leggeva la storia del mondo e interpretava la vita sul pianeta. Viveva – è quello che succede ai geni, e nel suo genere anche a Fausto Coppi – dieci anni avanti al gruppo. Più invecchiava Margherita, più ringiovanivano le sue idee, le sue passioni, le sue iniziative. Nel libro “La mia vita in bicicletta” (Ediciclo, 2011), raccontò se stessa a due ruote. E nel novembre di quell’anno, nella biblioteca di Sesto Fiorentino, si organizzò (Comune e biblioteca di Sesto, Vittorio Anastasia per Ediciclo, Andrea Satta e io) l’incontro fra Margherita e Alfredo Martini. Le loro vite erano state, fino a quel giorno, parallele. Tutti e due fiorentini: lui del 1921 e lei del 1922. Tutti e due atleti: lui corridore ciclista e lei saltatrice in alto (1,50) e in lungo (5,30). Tutti e due antifascisti: al tempo delle leggi razziali. E tutti e due cittadini d’Italia e del mondo. Tutti e due avevano perfino collaborato allo stesso cd (“Good Bike” dei Tetes de Bois). Eppure non si erano mai incontrati. Poi, ecco, finalmente, di pomeriggio, lei a casa di lui, e di sera, tutti e due nella Biblioteca comunale, 100 spettatori seduti, più altri 100 in piedi dentro, più altri 100 in piedi ma fuori, con tanti giovani. E via a ruota libera: confidenze e confessioni e convinzioni. Quelle di due ragazzi di 90 e 89 anni. Vivissimi.
Alfredo: «Nacqui in ospedale, reparto maternità, perché il parto si annunciava difficile. Poi fui portato a casa. Il mio babbo, operaio, lavorava alla Richard Ginori, porcellana, stava nei forni, tornava a casa con i capelli abbruciacchiati».
Margherita: «Nacqui in casa, nel quartiere delle Cure, al primo piano di una casa nei pressi dello stadio, vicino alla via Centostelle, e pensare che poi le stelle sono diventate la mia vita. C’era un terrazzino. Ho rivisto casa e terrazzino dopo tanti anni: uguali, mi hanno fatto uno strano effetto. Siccome il mio babbo lavorava all’azienda elettrica Valdarno, si aveva la luce gratis, e la casa era sempre illuminata a giorno. Quando venne licenziato perché non era iscritto al Fascio, ci si trasferì a Poggio Imperiale. La casa aveva lucine deboli deboli, ed era senza acqua e senza gas. Però c’era un piccolo giardino davanti e un altro dietro. Qualcosa, nel cambio, lo si era guadagnato».
Alfredo: «Il mio babbo prendeva 180 lire alla quindicina, cioè veniva pagato ogni 15 giorni, e quei soldi non bastavano mai per arrivare in fondo. Eppure un giorno mi comprò la prima bici: gli era costata 420 lire, due stipendi e mezzo. Avevo sette anni».
Margherita: «Smaniavo per avere una bici tutta mia. Placavo la voglia con un monopattino e ingannavo l’attesa al Bobolino, un giardino pubblico dove ci si arrampicava e si saltava, si giocava a palla prigioniera e ai tappi delle gazzose con cui correvamo i nostri Giri d’Italia e Tour de France, e poi a guardie e ladri e a nascondino. Certe volte mi nascondevo così bene che non veniva a cercarmi nessuno, e quando uscivo, erano già tutti tornati a casa».
Alfredo: «A quei tempi si era per Binda o per Guerra. Io vidi Binda sulle Croci di Calenzano, allora una salita dura e sterrata. Binda era così forte che al traguardo doveva scusarsi per essere arrivato con troppo vantaggio. Al Lombardia del 1927, dopo una vittoria, fece in tempo a fare il bagno, rivestirsi, prendere un treno e dal treno vedere la gente sui cavalcavia a guardare gli ultimi corridori che dovevano ancora giungere al traguardo. Poi conobbi Guerra: un uomo mite e generoso».
Margherita: «Binda non lo vidi, ma Guerra sì, una volta, a Campo di Marte. Mi sembrava un omone. Gli toccai un braccio, come se fosse Padre Pio. "Sei per Binda o per Guerra?", si chiedeva a tutti. Lo chiesi anche a Aldo, al Bobolino, quando mi offrì di giocare a palla con lui e i suoi amici, ma forse solo perché ero io quella che aveva la palla. Avevo 11 anni ed ero per Binda, Aldo ne aveva 13 ed era per Guerra. Oggi io ho 89 anni, lui 91, e giochiamo ancora insieme».
Alfredo: «A casa continuavamo a non avere soldi. La mia mamma, si chiamava Regina, andava dal macellaio e chiedeva una bistecchina: "Però te la pago domani". "Non sono il padrone", rispondeva ’Gote’, "questa è una cooperativa". "Ma Alfredo deve correre domenica", lo implorava la mia mamma».
Margherita: «Un giorno fui portata nel negozietto di un conoscente del babbo. C’era una bici nera, anonima, con il carter, senza il cambio. Io avrei voluto una Legnano, la bici di Binda. "Questa", spiegò il negoziante con complicità, "è una sottomarca della Bianchi"».
Alfredo: «Avevo la passione per la lettura. Già nel 1937 ero socio della Biblioteca di Sesto Fiorentino. Divoravo i libri di Joseph Conrad e John Steinbeck. Il mio preferito era "Martin Eden" di Jack London».
Margherita: «Leggevo quello che c’era in casa. Ho imparato a leggere su Pinocchio, poi sulla "Divina Commedia". Una noia finché non m’imbattei in quel "ed elli aveva del cul fatto trombetta". Siccome non capivo, chiesi spiegazioni al mio babbo».
Alfredo: «L’unico lusso che ci concedevamo era il massaggio. Si andava da Romigialli, massaggiatore della Nazionale di atletica leggera. Due lire al massaggio. Ci venivano anche Bartali e Magni».
Margherita: «Romigialli era il mio massaggiatore alla Assi Giglio Rosso. Abitava al sesto piano, e per paura che mi rubassero la bicicletta, la portavo in spalla per le scale strette e arrivavo in cima con la lingua di fuori. Mentre Romigialli mi massaggiava, si chiacchierava di politica, della guerra, di come sarebbe andata a finire».
Alfredo: «Professionista dal 1941 al 1957, con 12 Giri, due Tour, due di Svizzera, uno di Spagna e uno d’Olanda... Sarò caduto quattro o cinque volte, ma non mi feci mai nulla. Però, smesso di correre, tirando giù una saracinesca, mi ruppi un dito. "Sono proprio rimbambito", pensai».
Margherita: «Io ricordo due cadute. La prima in bici, in una scorciatoia, in discesa, sul ghiaino. La seconda, simile, ma su una Ducati, e la guidavo io».
Alfredo: «Bicicletta e ciclismo sono una cosa seria, tant’è vero che non appartengono alla sfera dei giochi».
Margherita: «La bicicletta mi ha insegnato l’agonismo. E quello ce l’ho ancora dentro».
Alfredo: «A me ha insegnato anche a usare i sentimenti».
Margherita: «La bici è il mezzo più silenzioso ed ecologico. Siamo diventati spreconi: negli Stati Uniti ti danno un foglio alla volta, qui un intero blocco».
Alfredo: «Si è disimparato a spengere la luce. Bisogna ricominciare dalle cose minime».
Margherita: «Bisogna anche imparare a fare la raccolta differenziata al 100%. L’Italia paga la Germania per eliminare spazzatura, e la Germania non solo incassa, ma con quella spazzatura si riscalda. Allora siamo bischeri».
Alfredo: «Bisogna imparare a risparmiare energia. Lo si fa anche in bici, stando coperti, in scia, e ragionando su quello che si ha, su quello che si vale, su quello che si aspetta».
Margherita: «Non esiste più il concetto di bene pubblico: quello che è di tutti, sembra da buttare via».
Alfredo: «Forse adesso la situazione cambia».
Margherita: «Forse. Almeno c’è un governo che sa leggere, scrivere e fare di conto».
Alfredo: «Margherita, e l’aldilà?».
Margherita: «Alfredo, a me è sempre più interessato l’aldiqua dell’aldilà».
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