A tarda sera, unità del Cai stanno ancora cercando le schegge del famoso Carlandley, questa strana entità che sembrava granitica e inscindibile, ottenuta saldando per tre settimane le singolarità di Carapaz, Landa e Hindley. Se dio vuole, sotto le pesanti mazzate della Marmolada, il tremendo assemblaggio viene spaccato e finalmente si riconoscono le tre distinte identità. Il pezzo migliore che ne viene fuori è australiano. E se è permesso anche un pezzo di chiacchiera personalissima, direi quanto ne sono felice, perchè di fatto Hindley è un mio concittadino stretto, visto che tutti e due siamo nati nella stessa città, Perth, proprio niente male.
La differenza sostanziale è che io sono comunque italiano, e dunque il compaesano mi perdonerà se mi assento un attimo dalla festona australe per godermi una grande giornata italiana, grande grandissima, perchè sulla più bella montagna italiana, il ciclismo italiano ci regala la più bella tappa italiana.
Vince Alessandro Covi, che ha 23 anni e certamente non salta fuori per caso, trattandosi di una delle personcine su cui più puntiamo in questa disperata ricerca di futuro. E mentre il ragazzino vince, là dietro si batte come un leone e difende il suo quarto posto il meno ragazzo Vincenzo Nibali, spettacolo commovente e struggente, così nobile da indurre un altro ragazzino del Giro, quel Lopez in rosa per tanti giorni, a voltarsi e ad abbracciarlo come si abbraccia un padre, un esempio, un mito.
E' un imprevedibile e indimenticabile sabato italiano, sulle Dolomiti più aristocratiche, in mezzo alla gente italiana che sa festeggiare senza sbrachi da movida. In queste ore finalmente nostre, stavolta senza malinconie e senza complessi d'inferiorità, il made in Italy dispensa generosamente regali e consolazioni, compreso l'Enrico Gasparotto che firma il suo capolavoro leonardesco dall'ammiraglia, e compreso persino il Matteo Tosatto, che perde il Giro con Carapaz, ma insegna a botta calda, quando di solito la bollitura del momento porta a galla rabbia, proteste, rancori, proprio in quegli attimi insegna come si perde, pronunciando poche parole giuste e lapidarie, ha vinto il più forte, i miei complimenti a Hindley.
In questo sabato italiano il Giro d'Italia avaro e taccagno risarcisce un po' del suo debito, contratto usando il braccino in tre settimane noiose come un film in bianco e nero.
La Marmolada diventa simbolica al massimo grado, dall'alto della sua bellezza e della sua cattiveria: per un Nibali carico di ieri e di passato che se ne va salutando nel modo migliore, ecco entrare in scena un Covi stracarico di domani e di futuro. E' come se i due si scambiassero un testimone immaginario e definitivo: è lo scambio tra una grande certezza che purtroppo finisce qui e una grande speranza che invece proprio qui comincia.
Il ragazzo piace subito perchè sa dire parole sincere, per niente banali, per niente ipocrite: “Questa vittoria è solo l'inizio di una lunga serie”. Credere in se stessi, senza montarsi la testa, ma anche senza dirsi stupide bugie. Da parte sua, il non-ragazzo indirettamente gli manda a dire come si può fare, andando avanti negli anni, quando viene il difficile: “Dopo l'ultimo periodo complicato, ho fatto come mi ha consigliato il mio tecnico Martinelli: Vincenzo, risali in bici e fai quello che ti piace”.
Le due strade che sulla Marmolada si sono incrociate, da qui in poi inesorabilmente si separano: Nibali svolta verso casa, Covi tira dritto verso le nuove salite. In qualche modo, avviene quello che ci si augura quando un anno termina e un altr'anno si apre: buona fine, miglior principio. A modo suo, questa Marmolada è uno struggente Capodanno italiano.