Bisogna sdoppiarsi, non c'è altra scelta. Seguire questo Giro significa seguire due corse diverse. Diciamo pure due sport lontanissimi.
Il secondo è il Giro senza classifica generale, il Giro per gli avventurieri che vivono alla giornata, gente che ogni volta parte con l'obiettivo di portarsi a casa la vittoria singola, senza secondi fini, senza calcoli a lunga scadenza. Diciamolo: questo Giro è ogni giorno combattuto e divertente, niente da rimproverare a nessuno, a parte Ciccone che non regge più nemmeno questo (arrivando a Lavarone, grande e generoso Van Der Poel, poi grande e pollo nel finire morto di fame, grande grandissimo Buitrago, ultimo cucciolo del vivaio colombiano, un cucciolo con le unghie di fuori che dopo caduta giù dal Tonale rimonta tutti e va a vincere in solitudine).
Però c'è il primo Giro, che dovrebbe essere il primo per importanza, tutto un altro sport. Si corre per la maglia rosa, più che altro per quella finale di Verona, e da questo punto di vista poco o nulla da segnalare. Come all'Aprica, come a Torino, come sul Blockhaus, in altre parole come tutte le volte in cui la nazione aspetta il grande duello di classifica. Niente. Solo allunghini e scattini. Roba per bambini.
Lì in alto sembrano attaccati col silicone, non si staccano neanche a martellate. Non può essere una notizia Almeida che perde le ruote della triade (Carapaz, Hindley, Landa): su tutte le salite di questo Giro, il portoghese si è puntualmente confermato portoghese di nome e di fatto, restando sempre lì imbucato abusivamente, aggrappato a debita distanza, riuscendo a stupire solo per l'altissima capacità di resistenza. Se mai, a Lavarone la notizia è nel distacco, per la prima volta una mezza bastonata, che lo candida seriamente ad arrivare nella sua amata crono di Verona ormai troppo distante per pensare al trionfo finale.
Da questo punto di vista, solo da questo, pregevole il lavorino che gli hanno confezionato quelli della triade, tutti e tre terrorizzati all'idea di ritrovarselo alle calcagna prima della crono. Punto. Già finito qui il reportage dal Giro Uno.
Per la verità, vista l'aria che tira, visto il livellamento piccolo borghese che domina da due settimane e mezza, diventa ragguardevole, un notizione cubitale, lo sprint finale con cui Carapaz rifila sei secondi a Landa, proprio quel Landa che continua a brasare la valorosa squadra in attesa dell'attacco fatale, ma che puntualmente non fa mai male a nessuno, men che meno a Carapaz e Hindley. Lodevole l'impegno, voto altissimo alla Bahrain (che ci infila pure la vittoria di tappa), ma proprio per questo ancora più deprimente la risposta del leader.
E fine. Se ne riparla venerdì e sabato, in particolare per la Marmolada annunciano sconquassi epocali. Questi del Giro Uno hanno la promessa e la minaccia facile. Poi alla fin fine vanno in Giro a trenino, uno in fila all'altro, mettendoci tutte le prudenze possibili per non farsi del male. Quanto alle spiegazioni, niente di nuovo neppure quest'anno: nelle prime due settimane ci dicono che bisogna aspettare la terza, quando arriva la terza ci dicono che non si può pretendere perchè “la stanchezza comincia a farsi sentire”.
E va bene, fingiamo di prendere tutto per buono. Rimettiamo il Giro Uno in modalità stand-by, un'altra volta, come tutti i giorni, e vediamo che combina la triade nel grande finale. Al momento, la prospettiva più realistica è che il Giro 2022 venga assegnato sul filo dei secondi nell'ultima mini-crono. Piccola la crono, piccoli i distacchi, piccoli i campioni del piccolo Giro.