Dopo il tappone di ieri, al Giro si continua a salire nella Ponte di Legno-Lavarone di 168 km. È una tappa di montagna divisa in due parti: partenza all’insù verso il Passo del Tonale seguita da un tratto di oltre 70 km sempre sostanzialmente in discesa attraverso le valli di Sole e di Non.
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Superato l’Adige si scala la salita di Palù di Giovo passando nella Valle di Mocheni per raggiungere Pergine Valsugana. Le due salite finali sono il Valico del Vetriolo lungo e pedalabile (7% medio circa) e la salita del Menador (Kaiserjägerstrasse) con tratti stretti, gallerie intagliate e pendenze sempre oltre il 10%. Scollinato Monterovere pochi chilometri ondulati portano all’arrivo.
ALLA SCOPERTA DEL TERRITORIO
La diciassettesima tappa parte da Ponte di Legno, gioiello incastonato tra montagne imponenti. Nel 1912 il Touring Club Italiano definì Ponte di Legno la «prima stazione italiana di turismo e sports invernali». Il suo nome è ora legato a quello del Passo Tonale che la collega al Trentino: i 100 chilometri di piste del comprensorio Pontedilegno-Tonale si snodano dai 1121 metri di Temù ai 3000 metri del ghiacciaio Presena e attirano sciatori da tutta Europa. D’estate Ponte di Legno è un punto di riferimento per attività come il trekking e la bike. Siamo all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio e del Parco dell’Adamello, con la loro inestimabile ricchezza di flora e fauna.
Ponte di Legno ha saputo mantenere il fascino del paese di montagna. ll silenzio e la magia del luogo sono un richiamo irresistibile per coloro che cercano il contatto vero con un ambiente naturale. Ma c’è anche un’isola pedonale ricca di negozi e bei locali. Tra gli edifici storici spicca la secentesca chiesa della Santissima Trinità. Dall’incontro tra la Lombardia e il Trentino nasce una ricchezza gastronomica che ben esprime questo territorio dal carattere deciso. Sapori autentici e genuini, che provengono da prodotti reperibili in loco, caratterizzano le proposte dei tanti ristoranti, rifugi, agriturismi. Gli “gnoc de la cua” (De.Co.) sono il cavallo di battaglia dell’Alta Valle Camonica: si tratta di gnocchi a base di spinaci selvatici, uova, farina e pane ammorbidito nel latte. Vengono fatti bollire e poi conditi con la “sfrisida”, ovvero un soffritto di cipolla, salvia e burro di malga. “Calsù” è il nome della variante locale dei casoncelli (grossi ravioli ripieni) della Valle Camonica.
ll Silter è un formaggio di produzione locale a pasta dura e cotta, semigrasso, tutelato DOP e realizzato con il latte vaccino da mucche di razza Bruna. Il Case di Viso (De.Co.) è un formaggio prodotto durante l’estate dal latte delle mucche che si trovano in alpeggio. Il liquore Elixir Noreas è uno dei simboli dell’Alta Valle Camonica da cento anni. La sua ricetta utilizza quindici erbe rare, selezionate fra alpeggi e boschi del Parco dell’Adamello.
Il percorso della tappa inizia con la salita verso il Passo del Tonale, dove si transita a quota 1883 metri. Situato al confine tra la Lombardia e il Trentino e circondato dai gruppi montuosi Adamello-Presanella, Ortles-Cevedale e Brenta, il Passo del Tonale è un anfiteatro naturale aperto e panoramico che si dispiega dai 1883 ai 3100 metri di quota. D’inverno si distingue per un’intensa animazione notturna. La discesa oltrepassa i confini regionali entrando nella provincia di Trento. Vermiglio è il comune più occidentale della Val di Sole: un tipico borgo alpino, posto in posizione panoramica e soleggiata al cospetto delle più alte cime dell’Adamello-Presanella. L’importanza storica di questo piccolo paese è testimoniata da numerosi resti, fra i quali spicca il Forte Strino.
Continuando nella Val di Sole, si incontra Fucine, frazione di Ossana presso l’imboccatura della Val di Pejo: il nome deriva dalla presenza storica di numerose officine per la lavorazione del ferro. La successiva località è Dìmaro, antico luogo di transito in posizione strategica, oggi centro turistico (la frazione Folgarida è frequentata stazione sciistica) a poca distanza dall’ancor più nota Madonna di Campiglio.
Si giunge quindi a Malè, capoluogo della Comunità della Valle di Sole, al centro del triangolo formato dalle Dolomiti di Brenta, Madonna di Campiglio e il Parco Nazionale dello Stelvio. Nelle malghe e nei piccoli caseifici vengono alla luce i prodotti caseari tipici della Val di Sole: lo yogurt, il burro e soprattutto i formaggi come il Casolét, un tipico cacio di montagna a pasta tenera, ma anche il Trentingrana. Nelle macellerie artigianali si preparano, seguendo ricette antiche, salumi e insaccati gustosi tra cui la luganega, lo speck e la pancetta.
In bassa Val di Sole, come nella vicina Val di Non, si coltivano le mele famose in tutto il mondo con il marchio DOP di Melinda. Oltre alle mele vengono coltivati anche i piccoli frutti come i ribes, le fragole, i mirtilli e i lamponi. Da assaggiare anche il miele di montagna.
Il Ponte di Mostizzolo mette in comunicazione la Val di Sole con la Val di Non, all’ingresso della quale il tracciato conduce a Cles, che ne è il centro amministrativo. Fin dall’epoca romana, Cles era un importante snodo commerciale, crocevia tra le valli. Nel suo borgo antico spicca il Palazzo Assessorile, in stile tardogotico; più in alto, su un promontorio roccioso, il Castello di Cles si affaccia sul lago di Santa Giustina.
La Val di Non ha una rilevante tradizione gastronomica. La sua conformazione geografica favorisce la coltivazione delle patate (famosi i “tortei de patate”); è anche, per eccellenza, la terra delle mele, protette con il già citato marchio DOP di Mele Melinda. La “mortandela” è un salume a forma di polpetta. Il Groppello è un vitigno di antica storia, che viene coltivato sulle sponde del lago di Santa Giustina.
Proseguendo verso sud, in direzione Trento, la tappa raggiunge l’area pianeggiante detta Piana Rotaliana, dove attraversa i due rilevanti centri di Mezzolombardo e San Michele all’Adige.
Da qui si sale verso il primo GPM di giornata, a quota 615 m nel territorio di Giovo, comune sparso formato da frazioni distribuite sulla costa della montagna. Il percorso transita per due di queste: Palù, nota per aver dato i natali al grande Francesco Moser, e Verla, sede del comune e della chiesa di Santa Maria Assunta. Edificata intorno al 1770 in stile tardobarocco, presenta una facciata dalle forme solenni, con lesene e cornici in stucco.
Dopo Giovo, il tracciato raggiunge Cembra, centro dell’omonima valle, sito di antichissimi insediamenti umani (documentati fin dal Mesolitico). Spicca la chiesa medievale di San Pietro, in stile tardogotico. Si passa quindi da Segonzano, nota per il santuario settecentesco della Madonna dell’Aiuto; da Lases e da Madrano, entrambe affacciate su un lago omonimo.
Il primo traguardo volante della tappa è a Pergine Valsugana, che con i suoi oltre 21.000 abitanti è il terzo comune della provincia per popolazione, dopo il capoluogo e Rovereto. La città occupa la vasta conca ai piedi del colle Tegazzo e il fondovalle del torrente Fersina, affacciandosi sulla propaggine settentrionale del lago di Caldonazzo. Sul colle Tegazzo, a circa 650 metri di altitudine, sorge Castel Pergine, la cui esistenza è attestata fin dal IX secolo. Pergine è anche sede di una vivace attività culturale, con teatri e musei. Ospita minoranze linguistiche: il mòcheno, il cimbro (entrambe di ceppo germanico) e il ladino.
Chiesa Parrochiale di Santa Maria Assunta.
Da Pergine inizia la salita verso il Passo del Vetriolo: circa 13 chilometri e 900 metri di dislivello, caratterizzati da spigolosi tornanti fra i boschi. A quota 1383 metri, in località Compet, è posizionato il secondo GPM di tappa. L’adiacente Vetriolo Terme deve la sua vocazione turistica all’acqua arsenicale-ferruginosa che ne fa “la più alta stazione termale d’Europa” con i suoi 1500 m. È una frazione di Levico Terme, il comune sul quale si scende dopo il GPM. Siamo nel punto più alto del fondovalle della Valsugana. Levico si affaccia sull’omonimo lago, uno dei due (insieme a quello di Caldonazzo) dai quali nasce il fiume Brenta. La chiesa del Santissimo
Redentore (XIX secolo) è la seconda più grande della provincia di Trento dopo la cattedrale di San Vigilio nel capoluogo.
Il secondo traguardo volante della tappa è a Caldonazzo, comune situato all’inizio della Valsugana, circa 20 chilometri a sud-est di Trento. Dà il nome al lago di Caldonazzo (suddiviso fra più comuni), il maggiore del Trentino tra quelli interamente situati entro i confini della provincia. Vi si può praticare lo sci nautico, la canoa e altri sport acquatici. Come già detto, è uno dei due laghi (insieme a quello di Levico) da cui nasce il fiume Brenta. La chiesa di San Valentino è d’interesse storico: risale probabilmente al XIII secolo; l’abside fu costruita sulla roccia affiorante.
Dopo Caldonazzo, il gruppo affronta la salita del Menador. Era un percorso adibito a uso militare durante la guerra del 1915-1918: il suo nome originario, scelto dagli austro-ungarici che realizzarono la strada, era Kaiserjägerweg. Oggi è un imperdibile tracciato panoramico per tutti gli amanti della bicicletta, con i suoi tornanti stretti e le gallerie tipiche delle strade intagliate nella roccia. Gran parte della salita è all’ombra del bosco, anche se inizialmente sono presenti dei tratti piuttosto soleggiati. Dopo circa 8 chilometri e un dislivello di quasi 800 metri, si giunge al terzo e ultimo GPM di giornata, in località Monterovere, a quota 1261 metri s.l.m.
Gallerie scavate nella roccia, salita del Menador.
Dopo il GPM, rimane un ultimo breve tratto di 8 chilometri circa per arrivare al traguardo di tappa, collocato a Lavarone. Quello che colpisce subito di Lavarone e di tutta l’Alpe Cimbra è il paesaggio, piacevolmente anomalo rispetto al cliché della montagna trentina: grandi aperture e orizzonti sconfinati, fra distese di boschi, malghe immerse in un panorama dai tratti quasi scandinavi, ma con il Becco di Filadonna, montagna emblema del luogo, come costante sottofondo. Tre sono i simboli di Lavarone: il suo lago, uno dei più antichi dell’arco alpino, situato a 1079 metri di quota e Bandiera Blu; il Forte della Grande Guerra Belvedere/Gschwent, una delle sette possenti fortezze che gli austro-ungarici costruirono tra il 1908 e il 1914 in questi territori, in vista del conflitto con l’Italia; il Drago Vaia, un’opera d’arte di interesse internazionale realizzata da Marco Martalar.
I piccoli villaggi sparsi di tutta l’Alpe Cimbra (Folgaria, Lavarone, Luserna e Vigolana) hanno saputo conservare il segreto delle antiche arti, dei mestieri e dei sapori della tradizione cimbra. L’offerta per il turista è fra le più variegate: sci e snowboard, escursioni e mountain bike, arrampicata ed equitazione, golf e relax e poi arte e cultura.
Sulla tavola dell’Alpe Cimbra si trovano prodotti genuini e a km 0. Nella terra delle malghe e del latte appena munto, delle carni lavorate secondo gli antichi dettami, del miele e della melata, degli ortaggi coltivati come mille anni fa, dei dolci della tradizione e della frutta biologica, rivivono i segreti delle dispense di montagna.
Le eccellenze vanno dal formaggio Vézzena allo speck profumato, dai formaggi di capra allo strudel, dai piccoli frutti alle pere e castagne della Vigolana, dal miele al porro di Nosellari, fino alla magia delle “uova arcobaleno”. Anche nei calici si può gustare il profumo autentico dell’Alpe Cimbra: dalla grappa alla birra, dai succhi agli infusi di frutta; ma anche vino, grappa e rum.
da TvRoadbook
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