Alla partenza è l'ultimo del gruppo schierato in piazza Plebiscito. Se fosse la griglia della Formula uno, sarebbe quello penalizzato e schiaffato in coda per punizione. E' addirittura isolato, staccato di qualche metro, non risponde alla Napoli che lo acclama, guarda poco anche lo splendore della piazza, sferzata dalla brezza e abbagliata dal sole. Glielo si legge in faccia: oggi li fa neri. Freddo e concentrato, assente come ci si assenta quando si ha in testa un altro film, quando prevale su tutto quanto una furibonda ossessione, Van Der Poel pensa soltanto a partire per ultimo, isolato dagli altri, pensa a partire per ultimo e soprattutto ad arrivare per primo.
Tappa corta e nervosissima, anzi isterica, una classica sincopata come piacciono a lui. E' un abito tagliato addosso su misura. E difatti, quando la corsa parte, tutti quanti andiamo a seguire lo show con una certezza granitica: non ce n'è, oggi bis di Van Der Poel.
Invece, invece. L'olandese fa tutto per bene, fino a un certo punto. Quando parte per sconvolgere la corsa, a meno 46 dal traguardo, sembra quasi di leggere un libro già letto, con finale mandato a memoria. Invece, invece. Forte e troppo sicuro della sua forza, improvvisamente l'imbattibile Van Der Poel si dimette dalla gara e lascia il posto al suo collega impiastro. Da quel momento, il nuovo arrivato non ne azzecca più nemmeno una. Sullo sfondo, sale assordante il coretto dei saputoni che non riescono a trattenere la libidine: ecco, vedi, sarà pure forte, ma non sa correre, si butta via, ha tanti muscoli e poco cervello.
Finisce che pasticciando e bisticciando con il giovane Girmay, ormai la sua ombra, il suo alter-ego, il suo fidanzato semiufficiale (di sicuro gli sta più tempo attaccato della compagna ufficiale), finisce che la tappa gli si sfila dalle mani, lasciandoci un niente. Un niente carico di rabbia e di bile. Tant'è vero che si gira sui tacchi e saluta tutti senza salutare nessuno. Qualcuno sui palchi delle interviste istituzionali la prende pure male, così oltre a dire che non sa correre si può pure dire che non è sportivo e non sa perdere: ma a me personalmente continua a piacere di più un tipo verticale, che quando gli girano preferisce levarsi di torno per evitare di fare altri danni, rispetto a quelli che recitano sempre la parte del carino caruccio sprigionando ipocrisia.
La folla del lungomare comunque non fa una piega: competenti e curiosoni di giornata, tutti quanti lo applaudono come si applaudono i campioni, il che dimostra che comunque il suo segno al Giro lo sta lasciando alla grande. Diciamola tutta: è l'unico, dei bei nomi, a lasciarlo, finora. Stravincendo e anche straperdendo in questa maniera assurda. Comunque dandoci dentro con l'impegno e la passione di un vero purosangue.
Lui e noi, che avremmo scommesso la casa sul suo bis napoletano, prendiamo la bancata e lasciamo tutti la parola ai maestrini della corsa perfetta, ai maestrini che non sbagliano mai, ai maestrini che hanno sempre la tattica esemplare. Dopo.
Dal mio punto di vista, dopo otto tappe, il giudizio non cambia: questo Giro deve fare un monumento a Van Der Poel. Che vinca o che perda, è l'unico asso uscito dalla manica. Gli altri lo sappiamo: aspettano tutti il Blockhaus.
Nota di servizio: il Blockhaus è qui, scuse non ce ne sono più. Nessuno pretende che qui si vinca il Giro, nessuno è così tonto e sprovveduto da pensare una bestiata simile: però uno scatto, un attacco, un qualcosa, stavolta provatelo. Fossero alla fine anche solo 20'': ma datevi qualche sberla, voi Carapaz, voi Yates, voi Almeida, voi Landa, voi Kelderman, voi Bardet, voi Ciccone. Provateci, per l'amor del cielo. Se scendiamo anche dal Blockhaus sentendoci dire che non c'era il terreno giusto e che bisogna aspettare la terza settimana, allora diamoci tutti quanti all'ippica. Se per Napoli buttiamo via Van Der Poel, che sui suoi terreni non perde mai un'occasione, qualcuno dica cosa dovremmo farne degli altri.