A far calare il sipario sulle grandi classiche di primavera è la Liegi-Bastogne-Liegi, nota come la Decana in quanto nata prima delle altre. E’ anche la più dura, titolo che condivide col Lombardia: con le sue cotes assomma un dislivello da tappone alpino che sfiora i 4500 metri complessivi. E’ un viaggio logorante, che consuma le energie col passare dei chilometri, 257 alla fine, spesso conditi da vento e freddo. Percorso simile a un elettrocardiogramma, che non conosce pianura, con dieci cotes in tutto, otto delle quali concentrate da metà viaggio in poi: le ultime due, la mitica Redoute e la Roche-aux-Faucons, sono deputate a spaccare la corsa e a deciderla. Non ci sono gli ultimi due vincitori, entrambi sloveni, Roglic per infortunio e Pogacar per il lutto che ha colpito la fidanzata, c’è ancora l’eterno Valverde, all’assalto finale per eguagliare le cinque vittorie di Merckx in una corsa che i padroni di casa non vincono da oltre un decennio: ultimo a riuscirci Gilbert, che abita proprio ai piedi della Redoute. Ecco le dieci facce che si candidano a un posto nell’albo d’oro.
Alejandro Valverde. Vince perché è la classica che sa correre meglio di tutti, perché ne ha vinte quattro e ne ha chiuse sul podio altrettante, perché a 42 anni eguagliare il record di Merckx lo consegnerebbe alla leggenda. Non vince perché chi vuole batterlo non aspetterà il finale per rendergli la vita dura.
Julian Alaphilippe. Vince perché dopo i guai fisici si è ripresentato al top, perché ha un conto aperto con una classica che ha già accarezzato in due occasioni, perché prima o poi riuscirà a centrare un grande traguardo in maglia iridata. Non vince perché il lungo stop un po’ di brillantezza gliel’ha tolta.
Dylan Teuns. Vince perché è in un momento di forma straordinaria, perché aver vinto la Freccia gli ha dato ancora più fiducia, perché è la prima volta che ha forma e spazio per giocarsi una grande classica. Non vince perché in squadra c’è anche Mohoric che rivendica libertà d’azione.
Wout Van Aert. Vince perché è capace di farlo su tutti i terreni, perché alla Roubaix ha dimostrato che il Covid non lo ha certo frenato, perché piazzarsi sempre è il segnale che prima o poi una vittoria importante arriva. Non vince perché in una corsa così tosta fare centro al debutto è un’impresa.
Michel Woods. Vince perché è uomo da corse dure, perché in questa classica è arrivato al traguardo sei volte piazzandosi sempre nei primi nove, perché a 35 anni non gli resta molto tempo per un successo importante. Non vince perché, se non stacca tutti, qualcuno più veloce di lui lo trova.
Romain Bardet. Vince perché è tornato sui livelli di un paio di anni fa, perché sulle cotes ha sempre fatto corsa di testa, perché una carriera da eterno piazzato val bene una vittoria che conta. Non vince perché ha qualità per correre davanti, ma non per staccare tutti gli avversari.
Vincenzo Nibali. Vince perché è la corsa che sogna più di tutte, perché con questa classica ha un conto aperto da dieci anni quando gliela soffiò Iglinskiy, perché le nostre speranze sono lui (37 anni) e Pozzovivo (39). Non vince perché con tutto quel che ha passato a inizio stagione qualcosa gli manca.
Dani Martinez. Vince perché sta andando molto forte, perché ha le qualità per far bene su queste strade, perché alla Freccia ha confermato di esser pronto per un grande risultato. Non vince perché andar forte da gregario non è la stessa cosa che doverlo fare da leader.
Benoit Cosnefroy. Vince perché è fatto apposta per questo genere di classiche, perché a 26 anni è maturo per un risultato importante, perché perdere un Amstel al fotofinish ti dà la certezza di essere da corsa. Non vince perché per battere tutti quelli che ci sono deve essere perfetto.
Aleksandr Vlasov. Vince perché sta attraversando un ottimo periodo, perché ha già dimostrato al Lombardia di non soffrire le classiche più dure, perchè se la squadra punta su di lui un motivo ci sarà. Non vince perché una corsa di questo calibro difficilmente premia chi l’affronta per la prima volta.