Tre donne. E un lago. Le tre donne: Antonia, Gaia e Iris. E il lago: il Lago di Bracciano. Le tre donne: Antonia, la madre, che lotta, che non si arrende, che tira dritto; Gaia, la figlia, che incassa ed esplode, che obbedisce e si ribella, che sorprende, ed è lei l’io narrante; e Iris, l’amica di Gaia, che chiede comprensione, che chiede perdono, che chiede silenzio. E il Lago di Bracciano: la sua origine, vulcanica, la sua natura, liquida, le sue leggende le sue storie la sua vita, ad Anguillara.
“L’acqua del lago non è mai dolce”: di Giulia Caminito, per Bompiani. Finalista allo Strega, vincitore del Campiello: per quanto possano valere i premi, stavolta hanno riconosciuto un grande romanzo e certificato un’altissima scrittura. Un’opera che – scusate la mia presunzione, la mia insolenza – convive con “La storia” di Elsa Morante e “Vita” di Melania Mazzucco, per dirne due che cancellano il sonno, sequestrano i sentimenti e spalancano mondi, paesaggi, vicissitudini.
Gaia e la famiglia, Gaia e la scuola, Gaia e le amiche, Gaia e i ragazzi. In questa tormenta, una bicicletta: “Di recente il figlio di quelli da cui lavora mia madre ha deciso di abbandonare la sua bicicletta, quindi io ne sono diventata erede e sto imparando a usarla davanti a casa, sono già caduta due volte e ho le ginocchia sbucciate al modo dei pargoli”.
La bicicletta aiuta a esplorare: “Io trovo colpevole questo comunicare a distanza, questo pigiare tasti e numeri, la sinfonia di un allontanamento coatto, allora comincio a girare in bicicletta al bar, al pescivendolo, in piazza, al negozio...”. E aiuta ad abitare: “Da quando ho la bicicletta e riesco a usarla su strada sono tanti i pomeriggi in cui attraverso l’Anguillarese e mi infilo tra le stradine della zona residenziale, ripasso pedalando vicino alla casa abbandonata, scendo ai campetti da calcio davanti all’albergo con piscina, svolto a destra verso le strade di campagna e da lì risalgo, costeggio la parete della collina il cui fianco è coperto da alcune case gialle e una lavanderia, spunto al cimitero e lo supero e allora posso decidere di entrare al paese vecchio o fermarmi alla biblioteca, legare la bici, entrare, chiedere alla signora Tiziana se ha qualcosa per me: io non attendo che la biblioteca compri novità al passo con le librerie, ormai mi sono abituata agli scaffali umidi, quelli del seminterrato, lì mi aspettano, al buio, tutti i miei libri”. E aiuta a crescere: “Nei mesi più rigidi dell’inverno, ci sono giorni di luce in cui indosso due guanti e tre paia di calzini ed esco comunque, faccio tutta l’Anguillarese senza deviare mai e arrivo fino al lago, allora rallento e pedalo guardando le case che si affacciano sulla costa, le ville con l’intonaco coperto d’edera, i ristoranti pieni la domenica, chi viene da Roma a mangiare filetti di luccio fritti, chi si stende al poco sole, le barchette ormeggiate sulla spiaggia, i sassi, le piume, i tubi di scarico, i bagni pubblici e sempre chiusi, le ringhiere dove siedono i bambini, la passeggiata spesso piena di venditori ambulanti che offrono collanine e vasi di terracotta, e poi torno indietro e rifaccio la salita, neanche mi fermo per un caffè, ma passo davanti alla bisca e alla pompa di benzina, tiro dritto trafelata e umida, rischio di ammalarmi”. E, insomma, aiuta a vivere: “Quello che ho fatto per anni è stato pedalare in discesa, in salita, su curve a gomito, fino al supermercato, fino alla posta, fino a dove lavora mia madre, fino alla scuola dei gemelli, fino al tabaccaio, fino alla pasticceria, fino al mercato di frutta e verdura, fino alla stazione, fino alla biblioteca, fino all'incrocio, fino al lago”.
Non ci si dimenticherà di Gaia. Impossibile. “Decidendo di andare dritto però sei arrivata”.
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