Il ciclismo aiuta non soltanto a coltivare la salute mentale e fisica ma anche ad avere un impegno costante nel lavoro una volta attaccata la bicicletta al chiodo. Si impara il senso della fatica, a sopportare sforzi prolungati come è stato per Paolo Cimini. Un ragazzo romano arrivato al professionismo nel 1986 grazie ad Ivano Fanini che ha creduto in lui.
«Passai professionista grazie a Fanini e ai fratelli Gianni e Diego Cedroni, commercianti di auto che mi proposero a lui. Fanini è una persona carismatica che dà entusiasmo ai suoi atleti facendoli sentire importanti. Senza di lui probabilmente non sarei riuscito a correre alcune stagioni da protagonista dopo l'esordio nell'86 con la Murella-Fanini».
E se le diciamo Jesolo...
«È una località balneare per me indimenticabile, lì si concluse la 14a tappa del Giro d'Italia 1987, una tappa di 260 km che vinsi battendo allo sprint davanti a Paolo Rosola, uno dei più grandi velocisti di quel tempo. Ricordo che il giorno precedente portai a termine con fatica la crono individuale di San Marino, ero a pezzi ma poi mi sono trovato nelle prime posizioni nel rettilineo di arrivo. Ho ritrovato in un attimo le energie per giocarmi la volata finale e superare Rosola negli ultimi 50 metri: allora indossavo i colori della Remac-Fanini».
Raro vedere il trionfo di un ciclista romano. Come fu accolto dai suoi amici?
«A Morena, questo il nome della frazione dove sono nato e risiedo tuttora, mi riservarono una festa come se avessi vinto un campionato del mondo. In diverse vie del paese campeggiavano striscioni con il mio nome. Un tripudio di cori rendeva il momento elettrizzante. Un romano di strada, perchè fin dall'età giovanile ho passato più ore in bicicletta che sui banchi di scuola, rappresentava Morena al Giro d'Italia e tutto questo lo devo ad Ivano Fanini, il più grande scopritore di talenti del ciclismo italiano. Vincere una tappa al Giro per un italiano è un momento esaltante: immagino cosa abbia provato Mario Cipollini a vincerne addirittura 42 firmando il record assoluto».
Perché a Roma nascono pochi ciclisti di alto livello?
«A Roma, il calcio è da sempre lo sport di gran lunga più seguito. Mancano le strutture per far allenare i ragazzi e in bicicletta è pericoloso muoversi su strada a causa del grande traffico. L'unico Velodromo che esisteva, il Velodromo Olimpico, è stato demolito nel 2008. Per i genitori è molto più semplice portare i propri figli al campo di calcio vicino casa che fare troppi chilometri nel traffico scegliendo altre discipline sportive».
Dopo la tappa al Giro, nel 1988 Cimini non è più una sorpresa e va a segno due volte in classiche nazionali di prestigio con la maglia Fanini-Seven Up. Si impone infatti nel Giro dell'Etna superando nell'ordine Giuseppe Calcaterra e Adriano Baffi, ma soprattutto vince il Trofeo Laigueglia con un podio quasi tutto faninista: superò infatti allo sprint Stefano Allocchio della Chateaux d'Ax, oggi direttore del Giro d'Italia, ed il compagno di squadra Alessio Di Basco.
«A Laigueglia - prosegue nei suoi ricordi Cimini - vinsi alla presenza di mio padre Roberto, scomparso nel 1998, e di Ivano Fanini. Il presidente non stava più nella pelle, raggiunse il palco senza "appoggiare i piedi a terra". Io mi sentivo una mosca bianca perchè Roma non aveva mai partorito corridori vincenti. E' stato molto emozionante ritrovare il 21 dicembre amici ed ex ciclisti al Giro d'Onore, la Festa indetta dalla F.C.I. nello "Spazio 900" a Roma. Nel ciclismo, in corsa come fuori, c'è sempre stata una stima reciproca e un vero rispetto: ho riabbracciato amici come Bugno, Scirea ed Allocchio. Nel 1989 mi staccai da Fanini passando alla Jolly Componibili presieduta da Marino Basso e nel 1990 l'ex diesse di Fanini Franco Gini mi portò con se alla Gis-Benotto St Gréé, la mia ultima squadra a livello professionistico, con la quale colsi il mio ultimo successo nel Philadelphia International Championship".
A soli 26 anni Paolo Cimini attacca la bicicletta al chiodo. Ma perchè così presto nel pieno della carriera?
«Durante una corsa a tappe italiana fui vittima di una intossicazione alimentare, con conseguente mal di stomaco, dolori muscolari e difficoltà respiratorie. Non sono più stato bene e non mi sentivo più in grado di correre. Nel 1998 poi morì mio padre Roberto a soli 57 anni, ho ereditato la sua azienda edilizia Edilcimini che dirigo tuttora assieme a tre dei miei quattro figli, Giulia, Roberto e Clarissa».
Cosa le ha trasmesso il ciclismo?
«Valori morali, la felicità, l'amore ed un concetto importante: le conquiste della vita si ottengono soltanto con il sacrificio. Per farle un esempio che ogni tantofaccio anche ai miei operai, in una tappa del Giro a Canazei pioveva e nevicava, si pedalava con copriscarpe improvvisati ricavati da una muta, gambe scoperte ed una leggera mantellina per coprirci dal freddo e dalla pioggia. Io che ero un velocista e quindi mi sarei dovuto trovare meglio in discesa, non vedevo l’ora che arrivassero le salite perchè salendo mi riscaldavo e scendendo morivo dal freddo. Il ciclismo è a tutti gli effetti una scuola di vita».
Dopo aver gestito per anni una squadra di giovanissimi e dilettanti, Paolo Cimini, che anche a livello personale non ha perso la voglia di pedalare, oggi guida una squadra cicloamatoriale, la Roma Team - Edilcimini, presieduta da Stefano Bianchini con lo stesso Paolo vice presidente. Che a 57 anni continua a coltivare quella grande passione che lo ha visto arrivare a conquistare grandi successi con le squadre Fanini.