“Gentili signore e signori buon giorno, buona visione e buon ascolto da Barcellona, in Spagna, e più precisamente dal circuito del Montjuich, da dove stiamo per trasmettervi le fasi della partenza del Campionato del Mondo di ciclismo professionisti su strada...”.
Elio. Trent’anni. Grafico aspirante fumettista. Ha avuto momenti migliori, nella vita. Adesso, senza genitori, senza fidanzata, senza amante, senza lavoro, si aggrappa al ciclismo. La sua passione. Mette su una videocassetta e se la gode.
“Ultimi trecento metri. Merckx, Ocana! Lo sprint è lanciato! Lo scatto di Maertens! Lo affianca Gimondi! Gimondi! Gimondi! Gimondi!! Gimondi!!! E’ Campione del Mondo!!! Felice Gimondi è Campione del Mondo!!!”.
Valerio Aiolli ha scritto “A rotta di collo” (edizioni e/o, 214 pagine, 14 euro), un libro del 2002, miracolosamente ritrovato in un bookcrossing, crocicchio di libri e viandanti, libri per viandanti e viandanti per libri. Il suo Elio scandisce i giorni, le azioni, gli episodi a suon di pedali e pedivelle. Merito del nonno, che lo interrogava sulla storia del ciclismo.
“Millenovecentotrentasei. Quante tappe?”. Se non specifica, intende il Giro d’Italia. “Ventuno” risposi sicuro. “Chilometri totali?”. “Tremilasettecento...”. “Ventuno!” quasi gridò il nonno. “Tremilasettecentoventuno. Ventuno tappe e tremilasettecentoventuno chilometri. E’ facile!”.
Mica tanto.
“Media oraria finale di Bartali?”. “Trenta chilometri l’ora?” buttai là. “Trentuno!” ribatté il nonno con un principio di indignazione. “Trentuno e spiccioli!”.
Gli esami non finiscono mai.
“Proviamo col Giro di Lombardia del quarantasei” mi salvò il nonno. “I primi tre”. Ma ormai ero troppo confuso per riuscire a rispondere. Balbettai a fatica un: “Coppi...”, ma fu il nonno a dover aggiungere: “... Casola e Motta!”. Lo stavo deludendo come non lo avevo mai deluso. Tentò ancora con la media finale di Coppi al Tour del quarantanove, ma quando titubante risposi: “Trentuno?”, il nonno capì che non c’era niente da fare. “Trentadue!” sbraitò picchiando un pugno sul tavolo. “Trentadue e spiccioli! Mi dici che cosa ti succede, Elio?”.
Succede che Elio è coinvolto in una storia di speculazioni e corruzione. E rimpiange il candore di quando pedalava. “Ottenuto il permesso di spostarmi in bicicletta per tutta la città – un lunedì di settembre del 1973, il giorno dopo la vittoria di Gimondi al Montjuich – non ho più alzato, per così dire, il culo dal sellino”. Era “quello aerodinamico ma impegnativo della Bianchi-Campagnolo (con il doppio cambio, per i rocchetti e per la moltiplica. Con il manubrio ricurvo fasciato di nastro adesivo assorbente grigio. Con le guaine verdi dei fili dei freni che si incrociavano sopra la ruota anteriore. Con la sella dura, attenzione ai foruncoli, e il cinturino per fissare il piede al pedale da stringere prima della volata. Con il portaborraccia e la borraccia, le ruote senza i parafanghi. In cinque parole: la bicicletta di Felice Gimondi)”.
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