Quello che (Omar Pistamiglio) cadde in discesa, fu rimesso in sella da un addetto ai lavori e spinto così forte da riprendere i sensi, poi raggiunse i primi, li staccò, al traguardo giunse primo ma sanguinante e festeggiò la vittoria su un’ambulanza.
Quello che (Giuseppe Ollino) era in fuga da solo finché fu raggiunto da un gruppetto, ma quando si accorse che il più attivo fra gli inseguitori era stato un suo compagno di squadra, si fermò, girò la bici e tornò indietro.
Quello che (Franco Mori) al Tour de France del 1970, a Bordeaux, aveva già ricevuto i fiori della vittoria e i baci delle miss quando gli fu comunicato che il tedesco Rolf Wolfshol lo aveva battuto di un centimetro.
Quello che (Alberto Marengo) cominciò a correre a nove anni perché al padre, che si era fatto male a un ginocchio, era stato prescritto di riabilitarsi a forza di pedali e il padre se lo portava dietro. Risultato: il padre si riabilitò e Umberto diventò professionista.
Quello che (Giacomo Grimaldi) abitava a Torino dove abitava anche Italo Zilioli, i suoi genitori avevano un negozio di frutta e verdura vicino alla bottega da calzolaio del papà di Zilioli, e lui, vedendo Zilioli passare in bicicletta, s’innamorò del ciclismo e poi divenne azzurro su pista.
Quello che (Valter Cossetta) si aggiudicò la Coppa Città d’Asti, ma aveva rischiato di non partire perché al pronti-via lui era si era fermato a chiacchierare con gli amici, a posare per le fotografie con i compagni di scuola e perfino a flirtare con alcune ragazze.
In “La terra del Diavolo Rosso” (Hever Edizioni, 240 pagine, 20 euro) Franco Bocca ha raccolto storie e personaggi del ciclismo astigiano: tanti “quelli che”, magari poco celebri, neanche tanto conosciuti, ma con una storia – la loro – da raccontare attraverso episodi esaltanti o deprimenti, ricchi di orgoglio o di rimpianto, carichi di felicità o di nostalgia. Bocca, piemontese, anzi, astigiano di Montemagno, è - da bravo giornalista - un collezionista di confidenze e sfoghi, confessioni e rivelazioni, prodezze e crisi, segreti e misteri. Cominciò a metà anni Sessanta con il settimanale “Piemonte Sportivo”, continua a farlo per “La Stampa”, stavolta ne ha costruito un libro. E da sempre con una passione per il ciclismo, e anche con un attaccamento al territorio, che gli hanno fatto guadagnare fiducia e rispetto. Qui lo fa non con i primi ma con gli umili, i dimenticati, gli inediti, quelli che altrimenti sarebbero stati dimenticati.
Bocca ha riservato il primo capitolo a Giovanni Gerbi, il Diavolo Rosso, capostipite di tutto il ciclismo, e non solo di quello astigiano: forte, furbo, eroico, creativo, diabolico. Il secondo capitolo lo ha dedicato a tre campioni diventati amici: Nino Defilippis, Franco Balmamion e Italo Zilioli. Ma ha trovato lo spazio (e, conoscendolo, anche il coraggio) di scrivere di sé: quella volta che Fausto Coppi – era il settembre del 1959 – partecipò a un circuito proprio a Montemagno e nell’occasione il Campionissimo gli regalò il proprio autografo. Il resto è per il popolo del ciclismo.
Fra le storie e i personaggi spunta perfino Beppe Conti, autore anche della prefazione, quello che, “era il 4 settembre 1966, avevo quindici anni e quella domenica nessuno poteva portarmi a correre. Così da Cambiano andai in bici a Ciriè, dove si svolgeva la corsa. Arrivammo tutti in gruppo e vinsi nettamente, a mani alte. Mi cambiai e poi, con la coppa in mano, ripresi la strada di casa. Centocinquanta chilometri in tutto. Una faticaccia, ma che soddisfazione!”