Sfuggiva alle regole. Era lui a dettare le regole. Ed erano regole apparentemente sregolate. Ma che invece seguivano precisamente le regole dell’arte.
Sfuggiva ai luoghi comuni, ai modi di dire, alle parole di moda, alle espressioni artefatte e artificiose. Scriveva più come pensava che non come parlava.
Sfuggiva anche alle consuetudini e alle abitudini, ma inventava, esplorava, sconfinava, improvvisava, e lo faceva recuperando, ritrovando, resuscitando, collegando.
La sua prosa era poetica, ricca e travolgente, sapeva di tutto, non trascurava niente, c’era il fuoco della passione e la puntualità della competenza.
Fondi e corsivi, cronache e ritratti, articolesse e racconti, provocazioni e racconti, anche romanzi, perfino poesie. Più che poesie, epinici. Cioè odi, elogi, inni. A ispirarlo, lo sport. A elevarlo, il ciclismo.
Gianni Brera è stato un punto di arrivo e di partenza giornalistico, un giro di boa letterario. Ha segnato il tempo: c’è un prima di lui e un dopo di lui. Con tanto di apostoli e discepoli, ma non di emuli e imitatori, perché solo tentare di farlo sarebbe stato ridicolo. Nella pletora di scritti, c’è un libriccino dedicato alle poesie, anche se lui, Brera, aveva troppo rispetto dei poeti per poter iscriversi (o meglio: accettare di essere iscritto) alla categoria. Intitolato “L’inquilino dei versi”, pubblicato da Otma nel 2002 dieci anni dopo la morte in un incidente stradale, confortato dalla prefazione di Andrea Maietti e preceduto da una poesia del figlio Paolo, contempla otto composizioni (dal Palio di Siena all’Inter campione, dalla nebbia alla zuppa) e un poemetto sullo sport della bicicletta. Che più breriano non si può immaginare.
Brera andava a ruota libera: “Prima che nasca, a parità di ruote, / la scorrevole monna bicicletta, / viene il biciclo dal rotone abnorme / come una dama grassa in crinolina”... “Alla marchesa Cigala Fulgosi / viene proposto di issarsi a pedalare. / La damazza, sdegnata, grida: ‘No, / in mezz ai mè gamb voeuri nagotta / che sta minga su dritt in de per luu!!’”... “Oggi la bici è tanto familiare / che passa per domestico utensile / come il secchio la pentola il martello, / che so?, la scopa il mestolo il colino / la grattugia la pesa il cavatappi”... “Quando Pavesi resta solo al Tour, / vive rubando cibo sulle tavole / delle squadre ufficiali: un giorno addenta / senza sbucciarla una zucchina gialla. / Il domani i giornali se la ridono / du pauvre macaroni qui ne connait / meme pas un fruit banal comme la banane”...
Sulla tastiera, Brera pedalava rotondo: “La strada era degli umili, e produsse / molti campioni di cui cito i nomi / rimasti in libro d’oro. Il più importante / fu di certo Bottecchia, valoroso / reduce dalla guerra: non lo volle / Legnano per il nome (rob de matt), / si offrì gregario in Francia per il Tour”... “La cara vecchia sboninata ‘rosea’ / faceva tirature colossali. / Le rotative sempre al calor bianco / ogni dì minacciavan di sbiellarsi”... “... Rimane / il ricordo di un epos che mi esalta / perché della mia gente esprime il nerbo / il coraggio il buon sangue la fatica / il sacrificio senza il quale è inutile / viver la vita. Sii benedetta / nostra povera e casta bicicletta”.
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