Riportato nella sua data autunnale dopo l’edizione estiva in era covid, il Lombardia torna ad avere il ruolo che la tradizione gli assegna da oltre un secolo: è la classica monumento che chiude la stagione, e a qualcuno pure la salva. Si torna anche al percorso che da Como arriva a Bergamo e non più viceversa come in tempi recenti: l’ultima volta cinque anni fa, vittoria del colombiano Chaves.
A non cambiare è il succo di una corsa che spreme le ultime forze di un’annata lunga e soprattutto intensa, col suo spartito severo e, per questo, sincero: a premiare il più bravo saranno 239 chilometri di gara, con un dislivello dolomitico (4500 metri) frutto di sette scalate, col mitico Ghisallo subito, Roncola, Berbenno, Dossena, Zambla Alta e passo di Ganda in sequenza, infine il suggestivo strappo di Colle Aperto, l’acciottolato di Città Alta che fa da trampolino per il traguardo nel cuore di Bergamo. Storicamente considerato il Mondiale d’autunno, almeno fino a quando la corsa iridata non è stata spostata a settembre, resta una prova ad alta qualità di partecipazione, oltre che tecnica, la più dura insieme alla Liegi, con cui condivide i tratti del percorso. Ecco le dieci facce che potrebbero mettere l’ultimo timbro su questo spettacolare 2021 della bici.
Julian Alaphilippe. Vince perché vuol finalmente conquistare una grande classica in maglia iridata, perchè l’ultima volta quattro anni fa si è arreso solo a Nibali, perché le corse dure stuzzicano la sua fantasia. Non vince perché dieci giorni senza correre dopo il mondiale alla fine si sentono.
Remco Evenepoel. Vince perché ha un conto aperto con questa prova dopo averla chiusa nel burrone un anno fa, perché ha una voglia matta di riscattare il Mondiale, perché in questo finale di stagione sembra il più fresco. Non vince perché con Alaphilippe accanto deve rispettare le gerarchie di squadra.
David Gaudu. Vince perché è una delle poche classiche fatte per lui, perché è arrivato a fine stagione poco spremuto, perché a 25 anni è pronto per battere un colpo importante. Non vince perché al momento giusto c’è sempre qualcuno che gli scappa sotto il naso.
Gianni Moscon. Vince perché sta facendo un grande finale di stagione, perché deve rifarsi sul destino dopo la beffa nella Rubè, perché questa è l’unica grande classica in cui ha centrato il podio. Non vince perché ne ha troppi da tener d’occhio quando in salita c’è da aprire il gas.
Vincenzo Nibali. Vince perché è la classica che gli si addice di più, perché l’ha già conquistata due volte, perché aver ritrovato la vittoria nella sua Sicilia dopo oltre due anni lo ha sbloccato. Non vince perché questo modo di correre delle nuove generazioni a quasi 37 anni fatica a digerirlo.
Tadej Pogacar. Vince perché quando si mette in testa un obiettivo quasi sempre lo centra, perché si è avvicinato col passo giusto a questa prova, perché debuttare in una corsa non lo frena ma lo stimola. Non vince perché con tutto quello che ha fatto (e vinto) in stagione ha diritto di essere un po’ stanco.
Primoz Roglic. Vince perché sa andar forte nelle classiche come nei grandi giri, perché ha fatto le prove generali nell’Emilia e nella Milano-Torino, perché in questa corsa ogni volta fa meglio di quella precedente. Non vince perché da favorito trova spesso sulla sua strada la sfortuna.
Alejandro Valverde. Vince perché in questo genere di classiche è un maestro, perché c’è già arrivato a un passo con tre secondi posti, perché a 41 anni quel che non gli dà la gamba glielo regala l’esperienza. Non vince perché dopo la caduta alla Vuelta è più facile rialzarsi nelle corse brevi che su una distanza così.
Michael Woods. Vince perché è un uomo da classiche dure, perché in questo finale di stagione sembra più tonico degli anni passati, perché a 35 anni non ha molto tempo per centrare una corsa monumento. Non vince perché deve arrivare da solo e qui staccarli tutta è complicato.
Adam Yates. Vince perché ha il percorso per farlo, perché ha accanto una corazzata pronta ad aiutarlo, perché ha l’occasione per salvare una stagione fatta più di promesse che di risultati. Non vince perché quando il gioco si fa duro spesso gli capita di smetter di giocare.