“Guai a fidarti di certi professori. Li vedi ammantati di sapere, lontani dal tuo piccolo mondo; li immagini allergici alle passionalità proletarie, ai pruriti della gente comune. E poi, zac, irrompono sul tuo terreno, ti raccontano di sfide a pallone sul fango, competono con le tue emozioni e magari ti colgono graziosamente in fallo perché ne sanno una più di te”.
Candido Cannavò irrompe nella mia vita di tutti i giorni. Con la prefazione a un libro trovato qua o là. Il “professore”, cui alludeva il Direttore (per noi della “Gazzetta dello Sport” era “il Direttore”, anche se poi gli davamo tutti del tu, anche se poi avrebbe meritato non il lei ma il voi), era Gianfranco Piantoni. Il “sapere”, cui si riferiva il Direttore, era il saggio “Diritto allo stadio” (V&P, 216 pagine, 15 euro). E l’anno era il 2005: sostituito e oscurato da Pietro Calabrese nel 2002, il Direttore sarebbe stato rivalutato e magnificato da Carlo Verdelli nel 2006.
Cannavò aveva una scrittura facile e ricca, pulita e puntuale, generosa e istintiva, a volte immaginifica (come quell’”ammantati”), a volte sorprendente (come quello “zac”), a volte tradizionale (come l’uso di quel punto e virgola). E sempre personale. Le “passionalità proletarie” erano le sue. I “pruriti della gente comune” erano le curiosità dei suoi lettori. Le “sfide” erano il suo pane quotidiano. E le “emozioni” erano il traguardo della sua scrittura, la meta del suo giornalismo, l’obiettivo del suo (del nostro, oserei - con orgoglio e presunzione - dire) giornale. E quel “graziosamente in fallo” nascondeva l’orgoglio ferito, forse la perfezione scheggiata, o la sincera ammissione di chi avrebbe dovuto saperne di più. “Confesso che personaggi come Piantoni erano il mio incubo: capaci di cogliere l’errore nella sedicesima riga di un articolo dedicato all’hockey su prato”. Cioè: “Gentili e micidiali”. Cioè: “Ti ricoprono di elogi e ti demoliscono”.
Il Direttore predicava la precisione e malediceva la sciatteria, apprezzava la fantasia e diffidava dell’ironia, e aveva sempre chiari, sempre presenti, sempre lucenti i comandamenti del suo lavoro, della suo artigianato artistico, della sua missione: “Emergono sovrani due monumenti dello sport e della vita: l’incomparabile sapore delle emozioni e l’immensa importanza dei valori morali”. Tant’è che “dietro il ‘Diritto allo stadio’, vedo Piantoni difendere qualcosa di molto più grande: la bellezza del competere e la dignità dell’esistenza umana”.
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