C come Covi. Nel senso di Alessandro, ciclista della Uae. Ha un cognome che ricorda il virus e non se lo nasconde: contro le battute è vaccinato. Dev’essere il motivo per cui è stato considerato meno di quanto meritasse: non se la prende, da ex contagiato sa essere paziente. Eppure in questo Giro è stato una delle migliori espressioni della sua squadra: sicuramente meglio di quelle di Formolo sul Giau o di Gaviria quando gli dicevano che Molano gli avrebbe tirato la volata. Ha ventidue anni, vive a Taino e nel tempo libero gli piace passeggiare in montagna e andare in barca, non necessariamente insieme. Va matto per il kebab: è il suo modo di fare cose turche. Viene da una famiglia di ciclisti: mamma e zio sono stati professionisti, papà dilettante, chissà come gli è venuta l’idea di andare in bici. Ha cominciato a sei anni, dopo aver provato tennis, sci, atletica e nuoto: avrebbe voluto anche tentare con basket, volley e ginnastica, ma aveva esaurito il tempo. Ha iniziato con la squadra di Orino, paese che fortunatamente non è diviso in due, di Sopra e di Sotto. E’ passato professionista in pandemia: se ti chiami Covi puoi aspettartelo. Non avendo ancora capito se è un corridore da tappe o da giornata, consulta spesso il compagno Formolo, che da anni sull’argomento è libero docente. Nel dubbio chiude un Giro dove è stato secondo a Montalcino sugli sterrati, terzo sullo Zoncolan nella nebbia e protagonista sull’Alpe di Mera come aveva promesso: ora è chiaro che, quando ripete di voler diventare un corridore con la C maiuscola, non si riferisce al suo cognome.
Y come Yates. Nel senso di Simon, ciclista inglese della BikeExchange. Uno degli argomenti preferiti di Gigggetto Sgarbozza: non riesce a pronunciare né l’uno né l’altra. E’ arrivato al Giro da favorito: rispetto a Bernal, Evenepoel e Nibali aveva più risultati e meno referti medici. Il mese prima ha vinto il Tour of the Alps con una gamba sola: gli è piaciuto così tanto che anche nelle prime due settimane di corsa rosa ha risparmiato l’altra. Lo chiamano gemello non per questioni zodiacali, ma perché nel ciclismo c’è il fratello Adam, nato lo stesso giorno e identico a lui: due gocce d’acqua, anche se entrambi soffrono la pioggia. Sono riconoscibili perché Adam ora ha un’altra maglia (prima era solo uguale, non è che usassero la stessa): è andato a correre con Bernal, che così ha scoperto di non avere solo il mal di schiena, ma anche uno Yates sempre fra i piedi. Magrini, voce di Eurosport, l’ha soprannominato lo scienziato (Simon, ma in assenza anche Adam), senza specificare di quale branca si interessi: non astronomia perché le stelle le vede solo quando cade, non matematica perché non sempre calcola i tempi per muoversi, non meccanica quantistica perché non sa quanto potrà guadagnare. Col Giro ha una storia tormentata: tre anni fa ha dominato per due settimane, vincendo tre tappe e restando tredici giorni in rosa, ma si è dimenticato che di settimane ce n’era una terza. Un anno fa, invece, si è presentato dicendo ‘sono un corridore diverso’: non si è capito se si riferisse al Covid, che l’ha fermato subito, o alla pettinatura che lo distingueva dal fratello. Comunque finisca, promette di ritornare anche in futuro, perché ha capito come si vince: andando forte e riducendo al minimo le minchYates.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.