C come comparse. Nel senso di figure che restano nell’ombra. Sono quei corridori che regolarmente viaggiano sullo sfondo della corsa: quando chiudono in tempo la tappa, vengono usati anche come fondale del Processo. E’ il loro ruolo e giustamente lo rivendicano: in fondo anche nelle case c’è la tappezzeria. Sono quelli che senti nominare alla partenza poi devi andarteli a cercare negli ordini d’arrivo: come molti colleghi sono bravissimi non solo a nascondersi nelle pieghe della corsa, ma a restarci fino alla fine. Vengono citati in rare occasioni, ad esempio quando finiscono in una caduta: i tipici incidenti di percorso. Quando succede, non vedono le stelle come gli altri, al massimo meteore. Molti hanno cognomi pieni di lettere dure, perfino rumorosi quando li pronunci: è la strategia che usano per far sentire la loro presenza in corsa. Ci sono anche squadre intere che non vedi mai, nemmeno a colazione: se la fanno servire direttamente in camera. Si muovono compatte, puntualmente nelle retrovie: i loro uomini avanzano in classifica quando vanno a casa gli altri, tipico caso di ciclismo per difetto. Sono da applaudire perché, pur restando un passo indietro, stanno comunque portando a Milano il loro Giro: come il simpatico olandese Julius Van den Berg, che se l’è presa talmente comoda da mettere il naso nei primi cento all’arrivo solo cinque volte, tanto che ora lo chiamano Divan den Berg.
O come Oldani. Nel senso di Stefano, ciclista della Lotto Soudal. Ha un cognome da cuoco stellato, ma ai fornelli non è un drago e non ha nemmeno aspirazioni da astronomo. Ventitré anni, milanese di Busto Garolfo, è appassionato di fumetti, genere fantastico: al Giro, dove nessuno lo nota pur essendo spesso in fuga e pur avendo chiuso tre volte nei primi dieci, è in versione Uomo Invisibile. E’ pignolo in tutto ciò che fa: nel mettere a punto la bici, nel sistemare l’abbigliamento, nel curare i baffi e pure nel fare la valigia, nel senso di riempirla e non di andarsene. E’ talmente poco considerato che in diretta tv lo hanno presentato come atleta della Trek: forse perché per farsi notare deve farsi in tre. Non è un corridore con un ruolo preciso: dice di esser veloce ma non velocista, di saper fare le salite ma non alpinista, a volte elettrico ma non elettricista. Ha l’etichetta di corridore completo, neanche fosse un ristorante o un albergo. E se gli chiedi dove è migliorato dopo due stagioni tra i pro non ha dubbi: nell’inglese. Fin da piccolo ha come modello Nibali: dopo averlo visto finire tre volte in terra in questo Giro, sta cominciando a guardare anche altri. Strada facendo, un po’ alla volta fra infortuni e cadute gli è sparita la squadra: Rotto Soudal. Da quando in corsa sono rimasti solo lui e Vanhoucke, i suoi dirigenti hanno pensato di sostituire il bus: non gli fanno più usare quello della squadra, ma prendere quello di linea. Nonostante il giovane italiano, andando in fuga nella tappa di Stradella, abbia regalato loro un’immagine invidiabile: quella di unico team in Giro che va all’attacco con mezza squadra.
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