C come Carthy. Nel senso di Hugh, ciclista inglese della Ef. Riconoscibile dalla statura e non dai tratti somatici: quando dicono che assomigli all’ispettore Derrick, replica sostenendo ‘io sono più di uno e novanta, quello era Tappert’. E’ nato a Preston, cittadina dove la bici è una necessità e non una scelta: hanno tutti fretta di arrivare prima. Da buon inglese, è devoto alla Regina: non capisce solo perché la chiamino Sua Altezza nonostante sia appena sopra il metro e sessanta. Anche in bici è uno che bada molto all’altitudine: in Spagna ha vinto sull’Alto dell’Acebo e sull’Alto dell’Angliru perché qualcosa gli diceva che fossero adatte a lui. Vince solo le corse che finiscono oltre i mille metri: per questo come scalatore è abbastanza quotato. Sa tutto dei percorsi (Carthy geografica), è disponibile con i giornali (Carthy stampata) e molto formale quando deve fare una richiesta (Carthy bollata). E’ generoso con i compagni (Carthy di credito), con la squadra è sempre molto chiaro (Carthy scoperte) e non è di quelli che bluffa (Carthy da gioco). Non è molle nel fisico (Carthypesta), ha un carattere all’apparenza ruvido (Carthyvetrata) e si arrabbia quando non viene lasciato libero di fare le sue cose (Carthy bianca). Per sperare nel podio ha ancora due massicci da scalare: in squadra si augurano che siano un trampolino e non un fermaCarthy.
D come distanziamento. Nel senso di spazio fra le persone. Durante la pandemia non solo una parola, ma una regola: in tempi di contagio, folla significa follìa. Sarebbe così anche adesso, ma con le prime riaperture le montagne si sono subito riempite di pubblico: è uno dei casi di mutazione del virus, la variante alpina. Quasi un paradosso in un Giro dove l’attenzione resta alta, con controlli periodici durante la corsa: è un attimo passare dal tappone al tampone. Sono cambiate molte abitudini: zero contatti fra stampa e corridori, visite ridotte di sponsor e parenti negli alberghi, persino i velocisti sulle salite devono fare il gruppetto al massimo in quattro e tutti seduti. Molto più attenti gli uomini di classifica, ai quali viene naturale mantenere le distanze. Così come quelli che da tempo hanno mandato all’aria il proprio matrimonio: già prima del via erano separati. E’ un modo di rispettare le spaziature come nel basket, anche se in quello sport ciò che si vede il più delle volte è spazzatura. Con tutte queste precauzioni, il ciclista deve affrontare la salita più dura: su Zoncolan e Sega di Ala più delle pendenze a preoccupare è stato l’abbraccio di quelli che ti stanno addosso senza mascherina, perché sono vietati sia l’uno che l’altro. E’ una calca spontanea, con gente che si fa prendere dall’entusiasmo e diventa travolgente, specialmente quando sa di poter finire dentro una telecamera: il classico fenomeno di massa. Niente di sorprendente: in era covid, il tifoso ha un modo tutto suo per farsi spazio.
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