B come Bennett. Nel senso di George, scalatore neozelandese della Jumbo. Da non confondere col velocista irlandese Sam, anche se non è difficile: quando a quello chiedono di provarci ancora li suona tutti, quando lo chiedono a George viene suonato. Si distingue dai compagni per la maglia bianca con le insegne della sua bandiera, in quanto campione nazionale: da come va in Giro, il sospetto è che la sua maglia sia davvero una bandiera. In ritardo in ogni arrivo in salita, dopo una settimana è già a dieci minuti dalla maglia rosa: Bennett, ma non benissimo. Ha sofferto molto le tappe del vento, lasciando stupiti i suoi connazionali, notoriamente maestri nella vela: per questo l’hanno già ribattezzato Luna Storta. Con Roglic, Kruijswijk e Van Aert dirottati sul Tour e Dumoulin dirottato e basta, in squadra gli avevano concesso l’opportunità di fare il leader: pensavano che per lui fosse una Bennettdizione. E invece, sta pian piano logorandosi, come un qualsiasi Bennett di consumo. Siccome alla Jumbo non fanno Bennettficenza, a Campo Felice hanno lasciato giù dal bus il norvegese Foss, il meglio piazzato della squadra: non è stata una dimenticanza, ma un modo per dire a Bennett che c’è un’alternativa pronta in parcheggio.
M come Moscon. Nel senso di Gianni, corridore della Ineos. Trentino della Val di Non, dove i bambini crescono con molte restrizioni: Non sudare, Non sporcarti, Non allontanarti, Non uscire dal cancello con la bici. E’ uno dei pochi ciclisti che non ha un soprannome legato a un animale: quando è arrivato lui, erano rimasti solo zebù e yak. E’ chiamato Trattore perchè ha la forza di un mezzo agricolo, non perché è titolare di una trattoria. Gli è stato dato il giorno che, lavorando in campagna con i genitori, ha trainato da solo un carro. Da lì il proverbio ‘tira più Moscon di un pelo eccetera eccetera’: da quella volta, i buoi della zona lo guardano malissimo. E’ gentile, discreto e con le ragazze non è mai ossessivo: se deve rimorchiare, non fa il moscone. Alla Ineos lo chiamano quando è ora di trainare i compagni, ma non solo: anziché il carro attrezzi, chiamano lui anche quando c’è da liberare un mezzo dal pantano o spostare una roulotte. Arriva da una terra celebre per la produzione di mele ed è contento quando Bernal glielo ricorda durante la tappa: Mela riprendi la fuga? Mela tieni alta l’andatura? Mela apri la strada per attaccare? E’ reduce da un periodaccio, dove fra qualche parola di troppo, liti in corsa e scontri in bici gli è stata appiccicata l’etichetta di bullo manesco: adesso, per non rischiare altri castighi, nemmeno quando vince alza le mani. Talento ritrovato, può di nuovo pensare a obiettivi alti, magari una grande classica come la Rubè: con tutte le pietre che si è visto tirare e la polvere in cui è sprofondato, una corsa del genere gli sembrerà una scampagnata.