E come Ewan. Nel senso di Caleb, vincitore di due tappe. Un fulmine negli sprint, ma anche nel tornare a casa: mentre i big guardano alla terza settimana, lui non aspetta la seconda. La versione ufficiale è che si sia fermato per i dolori in seguito a un colpo riportato in albergo: non è chiaro se di freddo, di sonno o di clacson. C’è chi sostiene che abbia deciso di lasciar la corsa dopo la riunione tecnica: quando il suo ds ha detto alla squadra ‘state pronti, oggi è giornata di fuga’, lui ha capito male e ha messo in macchina la valigia. C’è anche chi sostiene che non abbia gradito ritrovarsi sulla lavagna di Sgarbozza come Cabel Ewn. Viene catalogato come sprinter tascabile: non è solo per l’altezza, ma perchè a volte te la butta in tasca. Andandosene non ha solo fatto un torto al Giro e ai suoi colleghi velocisti, ma anche alla maglia che indossa: per lui Lotto è solo uno sponsor, non un verbo. Di maglie aveva anche quella ciclamino della classifica a punti: con una mossa sola li ha persi tutti. Non è riuscito a fermarlo nemmeno il suo tecnico Sergeant: si è giustificato dicendo che, rispetto al capitano della squadra, era di grado inferiore. Al di là del modo in cui ha chiuso la sua corsa, l’australiano resta uno sprinter di statura, anche se guardandolo non sembra. In programma adesso ha il Tour e la Vuelta, dove punta a conquistare una tappa: punta a conquistare una tappa anche alla Sanremo e quando va in vacanza con la famiglia. Qui se ne va dopo averne vinte due, lasciandosi dietro una sensazione amara: come tutti quelli che, dopo una doppietta, fanno un autogol.
I come interviste. Nel senso di dichiarazioni rilasciate alla vigilia e dopo la corsa. Essendo tutte dello stesso tipo, spesso coincidono: siamo nell’era delle frasi pret a porter, buone per tutte le occasioni. Sembrano quasi fatte a memoria: c’è chi, al termine di una volata persa, parla come se dovesse ancora farla. E pure chi, dopo una tappa dura, si lascia scappare ‘le partite durano novanta minuti’, forse perché ha studiato alla pagina sbagliata. Ormai per chi intervista è normale aspettarsi certe risposte: non c’è intervistato che vada fuori dalle righe, come nei parcheggi in centro. La risposta più tradizionale è ‘vediamo giorno dopo giorno’: inevitabile, perché giorno prima di giorno implicherebbe anche pedalare all’indietro. L’alternativa è ‘un passo alla volta’: se lo dice uno scalatore, si riferisce ai tapponi. Popolarissima è ‘lo capiremo strada facendo’: ferrovia facendo o fiume facendo suonerebbe peggio. Fra i più giovani è in crescita la frase ‘tenere i piedi in terra’: come riescano a pedalare in quel modo resta un mistero. Mai fuori moda l’espressione ‘ogni tappa fa storia a sé’, per quanto sbagliata: messe tutte assieme, le tappe alla fine la storia la fanno. Scontata è ‘ancora non ci credo’, un classico di chi vince per la prima volta: se davvero non ci avesse creduto, non avrebbe vinto. La migliore però è una new entry, ‘chi ha la gamba può far classifica’: chi invece non ce l’ha, può fare altro.
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