F come Fortunato. Nel senso di Lorenzo, ciclista della Eolo. E’ al terzo anno tra i pro, dopo aver corso i primi due anni alla Vini Zabù: è lì che ha cominciato ad avere qualche dubbio sul proprio cognome. Ha 25 anni, compiuti sulle strade rosa, è bolognese di Castel de Britti, il paese di Tomba: è diventato scalatore quando gli hanno detto che lì nascono i campioni della montagna. Fin da piccolo hanno provato a spingerlo verso lo sci, per lui solo un’abbreviazione di sciclismo. Quando gli parlavano di gigante lo prendeva come un complimento, se gli nominavano la discesa pensava alla strada per uscire di casa, sentendo pronunciare la parola slalom era pronto a correggere: si dice gimkana. Ha cominciato a sognare il Giro a dieci anni, vedendo passare una tappa davanti a casa: fosse passata dietro, forse non se ne sarebbe accorto. Gli è accaduto su quella via Emilia che pochi giorni fa ha percorso anticipando il gruppo, nella più classica ‘visita parenti’: vedendo tutta quella folla, c’è da augurarsi che non fossero tutti zii e cugini suoi. E’ un ragazzo educato, che si fa ben volere perché è umile: quando gli chiedono di definirsi, lui risponde ‘sono Fortunato’. Con questa filosofia è arrivato prima tra i pro e adesso alla Eolo di Ivan Basso, che in attesa di vederlo lottare con i big del Giro aveva dichiarato ‘ho conosciuto un ragazzo, Fortunato’: in tanti non si sono accorti che era l’annuncio di una faccia nuova, non una canzone di Jovanotti.
V come Valter. Nel senso di Attila, prima maglia rosa ungherese della storia. Attila è il nome, Valter il cognome, anche se lui sceglie al momento: a volte si fa chiamare Attila, a volte Valter. In Rai l’hanno già indicato come Valter Attila: come dire Ewan Caleb oppure Hoorn der Van Taco. Pur avendo un nome famoso, alcuni lo pronunciano Attìla, con l’accento sulla i: chissà se è un modo per distinguerlo dal suo più noto omonimo o perché attira l’attenzione, anzi attìla. L'ultima versione televisiva è Otilla, come una poltrona dell'Ikea. E’ comunque l’unico Attila del ciclismo: prima di lui c’era solo il cane di Viviani, ma non corre in bici. Racconta che il padre Tibor, che ha vissuto anche in Italia, per lui è tutto: già ciclista su strada, pistard e suo allenatore, studia per diventare ammiraglia e bici. Dell’Attila che l’ha preceduto (nella storia, non al traguardo), si diceva che dove fosse passato non sarebbe più cresciuta l’erba: a lui in mountain bike non è riuscito. Il primo Attila, pure lui ungherese, era anche noto perché attaccava quando tutti dormivano: per questo i suoi rivali faranno bene a tenere gli occhi aperti. Dicono che sia un leader naturale: al raduno della squadra si è presentato con elmo e corazza. Dopo la prima vittoria ha rispolverato una frase tipica del vecchio ciclismo: ciao mamma, sono arrivato unno. Salito in vetta al Giro, ha chiesto di avere una maglia rosa di una misura in meno: gli piace vestire Attillato. Non teme le sfide (combAttila), è pronto a giocarsela con i favoriti (abbAttila), respinge le critiche (ribAttila) e gli piacciono i giornalisti pungenti (Cristiano GAttila). Non ambisce a diventare una star, forse perchè in cielo c’è già un asteroide col suo nome, ma ha promesso al suo manager Madiot di puntare a vincere tutto: riuscendoci, diventerebbe il Flagello di MaDiot.