Non dello stesso rango di quelle catalogate come monumenti, l’Amstel ha comunque la tradizione e l’albo d’oro di una classica vera: in 55 edizioni, da Merckx in giù i grandi cacciatori di corse di giornate la firma ce l’hanno lasciata più o meno tutti. Oltre a essere la porta d’ingresso della settimana delle Ardenne e la festa nazionale d’Olanda, la corsa della birra ha una discreta valenza tecnica: su una distanza di poco inferiore alle classiche più nobili (219 i chilometri previsti quest’anno) distribuisce tutte le colline che possono offrire i Paesi Bassi, con qualche strappo ripetuto come il Cauberg che a lungo andare finisce per restare sulle gambe. Cancellata un anno fa a causa della pandemia, l’Amstel si ripresenta in formato blindato: l’intera area del circuito di 16,9 chilometri che verrà ripetuto tredici volte, con un giro finale accorciato di un chilometro, verrà chiusa in anticipo a turisti, pedoni e cicloamatori, vietando così la presenza di pubblico durante la gara, fatta eccezione ovviamente per chi abita sul percorso. Assente l’ultimo vincitore Van der Poel, proiettato verso l’Olimpiade in mountain bike, il pronostico si apre a più di un corridore: ecco i dieci che hanno più possibilità di farcela.
Julian Alaphilippe. Vince perché ha voglia di mettere il suo nome in un albo d’oro che gli manca, perché vuol festeggiare degnamente il rinnovo triennale del contratto, perché una classica in maglia iridata ancora non l’ha centrata. Non vince perché il suo obiettivo sono Freccia e Liegi e qui c’è gente più motivata di lui.
Sonny Colbrelli. Vince perché è in forma al punto giusto, perché in questa corsa è sempre stato tra i protagonisti e ha pure centrato un podio, perché finora ha seminato tanto e raccolto meno di quanto meritasse. Non vince perché gli manca sempre l’attimo giusto da cogliere per fare centro.
Marc Hirschi. Vince perché queste sono le sue corse, perché esser partito in ritardo gli consente di avere il pieno di energie, perché sembra aver fatto in fretta a trovare la forma adatta per le classiche. Non vince perché ancora non ha disputato gare oltre i duecento chilometri e alla fine conta.
Michael Matthews. Vince perché è la classica che in carriera ha interpretato meglio, perché nell’ultimo mese ha visto la sua forma lievitare per questi appuntamenti, perché ha una squadra intera a disposizione. Non vince perché c’è sempre chi sfugge al suo controllo, impedendogli di arrivare a giocarsela.
Thomas Pidcock. Vince perché il successo nella Freccia del Brabante gli ha dato la certezza di esser pronto, perché fa parte della razza che va forte ovunque, perché non è di quelli che quando centra un risultato si accontenta. Non vince perché non sempre basta essere al top per fare risultato.
Primoz Roglic. Vince perché è nella forma migliore, perché in vista delle Ardenne fare centro aiuta anche il morale, perché non è la prima volta che si presenta in una corsa per lui inedita e la conquista. Non vince perché preferisce lasciar spazio a Van Aert e pensare al bis nella Liegi.
Matteo Trentin. Vince perché a forza di star davanti prima o poi davanti a tutti ci finisce, perché ha clima e percorso adatti alle sue caratteristiche, perché merita di avere una giornata in cui gli va tutto dritto. Non vince perché avere in squadra Hirschi significa anche dover rinunciare a qualcosa.
Alejandro Valverde. Vince perché su queste strade lo sa far meglio di tutti, perché c’è andato vicinissimo già tre volte (due secondi e un terzo posto), perché dopo cinque Freccia Vallone e quattro Liegi vuol completare la collezione. Non vince perché anche un fuoriclasse a quasi 41 anni deve arrendersi alla giovane concorrenza.
Wout Van Aert. Vince perché di classiche importanti quest’anno non ne ha ancora vinte, perché può finalmente correre questa da primattore, perché ha il tracciato ideale per fare la differenza. Non vince perché dopo 50 giorni a tutto gas la spia della riserva comincia ad accendersi.
Greg Van Avermaet. Vince perché fin qui ha ronzato intorno a ogni bersaglio, perché come altri non ha sulle gambe la fatica della Rubè, perché insieme a Stuyven rappresenta l’alternativa belga più credibile a Van Aert. Non vince perché uno più veloce di lui a scappare o a far lo sprint lo trova sempre.