
Pugliese soltanto di nascita, ma veneto da sempre, prima a Cornuda e poi, dopo aver sposato Bertilla nel 1980, a Crocetta del Montello dove risiede tutt'oggi. Stiamo parlando di Mario Beccia, uno fra i migliori scalatori nei suoi undici anni di professionismo, dalla Sanson nel 1977 fino alla Malvor nell'88. Era il ciclismo di Bernard Hinault, di Francesco Moser, Beppe Saronni e poi via via di Giovanni Battaglin, Moreno Argentin, Joop Zoetemelk.
Beccia e Panizza erano fra gli scalatori che, dopo essere stati gregari, trovarono spazio per fare la loro corsa sui valichi alpini e sulle grandi salite del Giro d'Italia. Trovare spazio in un ciclismo che ha vissuto per anni sul dualismo Moser-Saronni non era facile ed il Giro d'Italia era uno dei momenti più propizi per mettersi in luce quando la strada saliva.
Un campione, Beccia, che nel 1987 approdò alla corte di Ivano Fanini per vivere una stagione davvero importante.
I SACRIFICI DI UNA VITA. Per un ragazzo non era facile negli anni Settanta riuscire a coltivare la passione ciclistica, soprattutto per chi, come Beccia, apparteneva ad una famiglia piuttosto povera. Ma la necessità aguzza l’ingegno e Mario si inventò meccanico trasformando letteralmente la sua bicicletta.
«Una bicicletta - ricorda lo scalatore - che ho imparato a smontare e rimontare completamente. Era l'unico sistema che mi consentiva di pedalare: spesi a quei tempi 50 mila lire, risparmiate con tanti sacrifici, facendola verniciare, togliendo il portapacchi e allestendola per fare qualche giro del comprensorio dove abitavo».
Mario si univa ai ciclisti del Montebelluna e sulle salite più famose dettava legge: nelle prealpi bellunesi in cima arrivava sempre da solo fra lo stupore di chi non conosceva le sue doti in salita. Già da juniores mostrava una buona tecnica e capacità nel gestire le proprie forze. Da lì ad una buona carriera dilettantistica il passo fu breve.
IL TRIONFO SVIZZERO. Passato professionista nel 1977 con la Sanson, iniziò a fare il gregario a Francesco Moser. Ma per incompatibilità di carattere preferì cambiare squadra diventando leader della Mecap e successivamente della Honved Bottecchia. Con questi colori nel 1980 vinse il Giro della Svizzera staccando tutti nell'ottava tappa, la Mendrisio-Glarus. Fra i battuti il beniamino di casa Josef Fuchs e lo scalatore olandese Joop Zoetemelk. Un Beccia formidabile che arrivò in solitudine sul traguardo infliggendo al termine del Giro distacchi consistenti ai suoi avversari.
Fra i suoi principali successi in carriera quattro tappe al Giro d'Italia con la maglia bianca nel ’77 come miglior giovane, la Freccia Vallone dell'82 e il Giro dell'Appennino dell'84. Giunse anche sul podio della Sanremo nell'86 alle spalle de l vincitore Sean Kelly e di Greg Lemond. Ha indossato la maglia azzurra dal 1977 all'84.
«In salita non temevo nessuno: rispettavo chi andava forte come gli spagnoli Lejarreta, lo stakanovista dei grandi giri, e Alberto Fernandez Blanco, ma non mi sentivo inferiore».
La sua migliore partecipazione al Giro fu quella del 1983, quando giunse al quarto posto, sfiorando il podio per pochi secondi nell'edizione vinta da Saronni, ma ritagliandosi il suo momento di gloria vincendo la prestigiosa tappa a Selva di Val Gardena. In quell'edizione rosa a precederlo nella classifica finale furono soltanto Saronni, Visentini e Fernandez Blanco.
IL RIMPIANTO DELLO STELVIO. «Se devo dire quale amarezza ancor oggi mi porto dietro, dico la tappa sullo Stelvio del 1980, la terz'ultima di quel giro. Era la Cles - Sondrio di km.221. Ero in classifica, davanti a me c'era Miro Panizza, secondo, che tallonava il grandissimo Bernard Hinault. Quando Hinault attaccò assieme al suo gregario Jean René Bernaudeau, mi sentivo di star bene e di potermi sganciare dal gruppo al loro inseguimento ma non lo feci perchè avrei danneggiato Panizza ed in quel Giro gli italiani mi avrebbero giudicato male perché ancora speravano che Miro potesse vincere. All'arrivo Hinault concesse la tappa al giovane Bernaudeau e vinse il Giro. Panizza fu secondo ad oltre cinque minuti dal fuoriclasse bretone ed io conclusi il Giro al sesto posto. Lei prima mi aveva chiesto quale scalatore temevo? A pensarci bene nessun specialista è stato forte quanto Hinault, uno dei più completi corridori di tutti i tempi».
UN ANNO ALLA REMAC FANINI. Il 1987 Beccia l'ha trascorso alla Remac Fanini, voluto fortemente dal patron della Remac Mario Cioli e sostenuto dall'ingegner Falconi, allora titolare di Alan, uno degli sponsor tecnici. A presiedere la formazione c'era Ivano Fanini.
«Di Fanini ho apprezzato lo stile comunicativo. Pieno di entusiasmo, tenace nel difendere i suoi principi, come ad esempio la lotta contro il doping: una persona sincera che quello che ha da dire lo dice in faccia. Intorno a me c'era un clima di sfiducia quando mi fu prospettata l'ipotesi di passare a correre per lui, ma accettai e ne fui felice. Non era facile, già allora, riscuotere gli stipendi puntualmente come mi successe alla Remac Fanini. Volevo far bene alla Milano-Sanremo dopo il podio dell'anno precedente, ma arrivai diciannovesimo ed a vincere quel giorno fu lo svizzero Erich Maechler. In squadra con me c'era l'astro nascente del ciclismo, il danese Rolf Sorensen. Cercammo di aiutarci, ma lui non riuscì ad infilarsi nella fuga giusta e terminò al decimo posto. Sorensen a fine stagione ebbe molte richieste da grandi squadre. Fanini, per consentirgli una carriera più luminosa, lo svincolò consegnandolo alla Ariostea dove si unì ad Argentin, Furlan, Cassani e Baffi. Un gesto che dimostra l'umanità di Fanini mentre altri al suo posto avrebbero fatto valere il contratto per assicurarsi le prestazioni dell'allora ventiduenne ciclista danese che prometteva scintille per il futuro».
Conclusa poi l’esperienza con Fanini e appesa la bici al chiudo nella stagione successiva, Beccia è stato diesse del Team Vorarlberg ed ora continua a pedalare assieme agli amici di Montebelluna conosciuti per caso in bicicletta, ammirando il paesaggio tra le curve e i tornanti delle dolomiti bellunesi.
da La Gazzetta di Lucca