Cantò l’amore: “L’amor che move il sole e l’altre stelle”. Spiegò la regola: “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”. Stabilì la gerarchia: “Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini”.
Settecento anni dalla morte di Dante: il Giro di Romagna gli dedica la corsa a tappe di quattro giorni (dal 22 al 25 aprile) per elite e under23, il Giro d’Italia gli riserva la tredicesima tappa Ravenna-Verona (il 21 maggio), la ciclostorica La Francescana (dal 18 al 20 settembre) lo celebra fra ricorrenze (la prima copia della “Divina Commedia” stampata proprio a Foligno l’11 aprile 1472) e iniziative (un Montefalco Sagrantino della Cantina Arnaldo Caprai in edizione limitata).
Dante, che non si chiamava Dante ma Durante, di cui non si conosce con precisione la data di nascita (tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265) né di morte (la notte tra il 13 e il 14 settembre 1321), e che immaginiamo più a piedi (“Nel mezzo del cammin di nostra vita”) che non a pedali (solo Vico Calabrò potrebbe ritrarlo su una bicicletta, come ha osato fare con Garibaldi e Cavour). Eppure Dante corre e ricorre nel mondo del ciclismo: nelle corse, tra le piazze e le vie a lui intitolate, nei ristoranti (Antica Hostaria Dante Alighieri, a Mestre, con una particolare attenzione a chi va in bici: parcheggio, pompa e strumenti per eventuali piccole riparazioni) e negli alberghi (il bike hotel Toscana di Alassio, in via Dante Alighieri), nei giornalisti (uno su tutti: Dante Ronchi) e nei corridori (alcuni per il nome, come Dante Morandi, altri per il cognome, come Giuseppe Dante, Stefano Dante, Davide Dante, Alessandro Mario Dante...).
Giuseppe Dante era il Peppino. Nato il 26 marzo 1931, l’altro giorno avrebbe compiuto novant’anni. Se n’è andato più di due anni fa, fregandoci tutti, perché sembrava eterno. Gregario, portatore di acqua (e, smesso di correre, commerciante di vini), Peppino era dantesco. Prima di una Parigi-Roubaix avrebbe potuto declamare “il sentiero per il paradiso inizia all’inferno”, dopo la vittoriosa tappa al Giro della Catalogna avrebbe potuto esclamare “che bell’onor s’acquista in far vendetta”, durante un Giro d’Italia (sette di cui quattro portati a termine) o un Tour de France (due di cui uno fino a Parigi) avrebbe potuto confidare “lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.
In questo settecentenario, anche Peppino avrebbe meritato il suo Dantedì, magari con Roberto Benigni cantastorie.