Aveva una bellissima storia da raccontare. Un giro delle Dolomiti in bicicletta. Una bellissima storia da raccontare è anche una bellissima storia da ascoltare e da leggere.
Era il 1951. Luigi Telve aveva 16 anni e una bici pagata 44 mila lire, marca Belga (anche se italiana), fabbricazione artigianale (Botolo, meccanico di Treviso), cambio Parigi-Roubaix (a una leva).
“Pioveva quando partii, pioveva quando tornai, e piovve dall’inizio alla fine. La prima tappa da Badoere, una quindicina di chilometri da Treviso, a Zuel, poco prima di Cortina. Bellissima e bagnatissima, Cortina. Mi fermai davanti a un capannone. C’era una donna anziana. Le domandai se potessi dormire lì. Ma no, mi rispose, ti porto in un posto migliore. Aveva ragione: era una stalla. Mi riempì la borraccia di latte appena munto, e la feci fuori subito. Me ne riempì un’altra la mattina dopo, prima che ripartissi per la seconda tappa. Su al Falzarego, asfaltato fino a Pocol, poi sterrato. Giù ad Arabba, poi il Pordoi. Stanco morto, eppure a metà superai una corriera, più stanca morta di me. Mi fermai in cima, e la corriera arrivò dopo cinque-sei minuti. Ne uscì un parroco con la sua comitiva di fedeli: appena mi vide, distrutto e affamato, aprì il baule della corriera e mi regalò panini con la soppressa e il formaggio. Rianimato, rifocillato, affrontai il Sella, tutta strada bianca. Girai per Ortisei. Lì c’era una festa, la banda con le trombe e i tromboni, la vissi come se fosse per me. La sera arrivai alla periferia di Bolzano, vidi un campanile, entrai in chiesa, domandai al parroco se ci fosse un posto per dormire. Tirò fuori materasso e coperte e li sistemò nella canonica. Mi lavai in un fiumiciattolo. Il giorno dopo, vicino al cimitero di Lavis, m’imbattei in un rimorchio trainato da due cavalli, carico di pere gialle. Con quelle in corpo, arrivai a casa. E la prima cosa che feci, fu restituire le tremila lire a mia madre”.
Ieri Telve è morto. Aveva 86 anni. Lo incontrai due anni fa, alla Rotonda di Badoere, per una manifestazione ciclistica che si tiene il 1° maggio. In una chiesetta sconsacrata era stata allestita una mostra di bici, maglie, foto e figurine d’epoca. Erano esposte anche le sue memorabilia. Fu lì che mi incantò con i suoi racconti e ricordi. Figlio di contadini del 1900, sesto di sei figli, Telve aveva pedalato con la fame: “Avevamo cinque o sei campi, ma in affitto. Si coltivava mais e frumento, più l’orto e quattro mucche, ma non ce n’era mai abbastanza. Polenta e una fetta di salame a mezzogiorno, polenta e mezzo uovo la sera. Quinta elementare poi autista. Guidavo le mucche al pascolo”.
Dalle mucche alla bicicletta: “Ottenerla fu un calvario. Due-tre mesi a piangere. Un giorno, non so se esasperata o commossa, mia madre vendette tutto, anche un vitellino, per pagare l’affitto dei campi, e con quel poco rimasto acquistò una bici nuova”. La felicità: “La prima corsa da allievo. La prima vittoria nella Coppa Fanti, valida per il campionato veneto dilettanti, per distacco. Poi, nel 1954, dilettante. Scoprivo il mondo”. Quella volta che “mi spinsi a trovare dei parenti nel Monferrato, quando arrivai avevo una fame che non ci vedevo più, però vidi un cesto di mele, posso?, ma no!, mi risposero, sono marce e per i maiali, mi spiegarono, ma ne mangiai metà cesto. E il ritorno a casa, 430 chilometri, lo feci in giornata, dall’alba al tramonto”.
Non divenne mai un campione, però li conobbe, e parlavano la stessa lingua. Imerio Massignan: “Quella volta che a Mestre, in una prova del Trofeo San Pellegrino, in testa alla corsa con Massignan, su una strada sterrata tutti e due forammo, non avevamo tubolari o gomme di scorta, fummo salvati da un furgone”. Toni Bevilacqua: “Fu lui a propormi le corse in pista. Mi iscrissi al campionato italiano dilettanti nell’inseguimento a Dalmine. In tribuna c’era Fiorenzo Magni: ‘Ma come fai a correre su quel trabiccolo?’. Mi fece arrivare una bici della mia misura da Milano. Però, abituato a un modello più piccolo, non mi ci trovavo e in finale venni battuto da Ernesto Bono. Magni venne a scusarsi, disse che era tutta colpa sua. Poi profetizzò: ‘Tu sarai quello che mi sostituirà’. Una profezia fallita”. Gino Bartali: “Una volta gli toccai un braccio”. Fausto Coppi: “Lo incontrai a una riunione a Roma alle Terme di Caracalla, ma non avevo il coraggio di parlargli, anzi, a dirla tutta, non avevo neppure il coraggio di guardarlo”.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.