In principio era la pista. E le piste erano dovunque fosse possibile girare attorno. E le piste erano il ciclismo del XIX secolo.
Questo libro racconta l’evoluzione del velocipedismo in Alessandria e quindi del ciclismo nel vivace NordOvest e per conseguenza scava nelle origini del ciclismo italiano. Alessandria ama il ciclismo e lì nasce, sulla spinta di analoghe società italiane, la Società Velocipedisti Alessandrina che sarà la capostipite.
La società che segnerà la storia sarà però il Circolo Velocipedistico Alessandrino nella persona del suo presidente “per sempre”, vale a dire quel Carlo Cavanenghi che dalle sponde del Tanaro assurgerà ai vertici del movimento ciclistico nazionale. Ma come ogni buon campione, anche Cavanenghi fu attorniato da ottimi gregari che lo supportarono in tutte le sue mosse.
Grazie a questo gruppo affiatato di dirigenti e pionieri, la inadeguata e vetusta Piazza d’Armi viene sostituita da una pista vera e propria. 410 metri, 7 di larghezza, fondo in terra ma, grazie alle curve sopraelevate, idonea anche per i primi rudimentali veicoli a motore. E’ il 1891. La Pista di Porta Savona diventerà, per 15 anni almeno, uno dei centri di riferimento italiani e addirittura europei del bel ciclismo dalle ruote veloci. Come corollario alla attività agonistica e ai bagni di folla dei più titolati velocicpedisti, Alessandria e Cavanenghi entreranno a far parte di valzer di poltrone e giochi di potere con Milano, Torino e Genova, giochi che non hanno niente da invidiare alle convulse attuali prove di forza dirigenziali.
Ma come succede sempre, tutto cambia e ben presto si realizzò l’idea che le città, anche distanti centinaia di chilometri, potesserto essere, agonisticamente, collegate con le due ruote. Si cominciò allora a parlare di strada e nacquero , guarda caso in quel “NordOvest bardato di stelle”, decine e decine di corse e spuntarono come funghi campioni e miti della leggenda ciclistica italiana. Dentro quei tratturi sconnesi si consumarono sfide col coltello tra i denti e lotte all’ultimo sangue sotto “gli sguardi gelati dei Francesi”.
Dopo la Grande Guerra sarebbe arrivato il “ciclismo moderno” dei giornalisti e dei cantori sempre sedotti dalle trame della fatica e della polvere ma senza le rappresentazioni disumane dei pionieri. Per finire, una menzione particolare vada all’autore, l’amico Roberto Livraghi, naturalmente alessandrino. Da uomo di sport e di cultura ha curato con amore questo splendido lavoro rimarchevole per la ricerca e la pubblicazione di documenti inediti che ci immergono in quel periodo quando Alessandria fu la sorella di Gerbi, la madre di Girardengo e la nonna di Coppi.
PISTA!
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