Immaginatevi “una strada completamente sterrata che corre lungo un crinale grandissimo e semplicemente pazzesco”. Immaginatevi di “poter girare la testa a trecentosessanta gradi e non vedere segno di alcuna presenza umana”. Immaginatevi “né una linea elettrica, né un’antenna, né una costruzione”. Immaginatevi “solo montagne in lontananza e boschi d’abete che appena sotto di te si estendono fin dove l’occhio umano può arrivare”. Immaginatevi “il grande fiume giù in basso, che s’insinua nel verde più assoluto dentro un silenzio totale”. Immaginatevi di essere lì, sennò come?, sulla vostra bicicletta.
Adesso riaprite gli occhi, respirate profondamente, ascoltate la musica dell’anima, qualunque sia. Siete ai piani alti del pianeta, siete nella parte pura della Terra, siete in Alaska. Orsi e caribù, empori e campeggi, motociclisti e ciclisti. Stefano Elmi è uno di quei ciclisti: ha riaperto gli occhi, e anche il cuore, sta respirando profondamente e ascoltando la musica dell’anima, e pedala. In cerca di una birra, ma anche di un ricordo, in cerca di un hamburger, ma anche di un consiglio, in cerca di una luce e qui, d’estate, la luce c’è anche di notte, naturale e non artificiale, perché questo è ancora un luogo dove la natura trionfa.
“In Alaska fa caldo” (Ediciclo, 192 pagine, 16 euro) è un libro sulla strada che sfugge ai luoghi comuni dei cicloviaggiatori, probabilmente perché l’Alaska è uno stato, geografico e mentale, fuori dal comune e così detta altre leggi, racconti e ritmi. Qui non si parla di record e non si scrive di primati, ma si narra di incontri, i mille incontri casuali, fatali, speciali che solo la strada percorsa a due ruote sottili e a motore umano può regalare. Porte girevoli, ruote scorrevoli. E’ un’enciclopedia di incontri, dunque di viandanti e vagabondi, bottegai e poliziotti, guide museali e vecchi marines, ma anche moscerini e zanzare, camper e camion, stivali di pelle e cinturoni con revolver.
Elmi non vuole apparire come quello che, come quello che lui, come quello che solo lui. Elmi non vuole dimostrare né dimostrarsi. Elmi non vuole metterla giù dura. Pedala e guarda, pedala e nota, pedala e annota, pedala e poi si ferma, pedala e lavora, pedala e scopre che in Alaska, d’estate, fa caldo, ma un caldo che nessuno glielo aveva mai detto. E uno dei meriti del suo libro è che, semplicemente, si fa strada. “La cosa che più apprezzo viaggiando in bicicletta è che non mi importa in quale situazione t’impicci alla fine o all’inizio di una giornata, ma ne puoi sempre uscire dignitosamente isolandoti e vivendo intensamente il viaggio per raggiungere un posto nuovo. Vedendo scorrere la strada sotto le tue ruote capisci che, anche se certe volte molto lentamente, tutto scorre e tutto va avanti”. A Dawson City e a Tangle Lakes, sulla Cassiar Highway o sulla Denali Highway. Così come a Bitonto o a Orosei, sull’Aurelia o sulla Flaminia.
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