Sarebbe bello scoprire se qualcuno, prima del Giro d’Italia, avesse scommesso su Jai Hindley sul podio finale di Milano. Senz’altro ci avrebbe fatto un mucchio di soldi. Il giovane australiano è stato, senza se e senza ma, la più grande sorpresa della 103esima edizione della Corsa Rosa; non solo si è preso un impronosticabile secondo posto finale, ma è anche stato ad un passo (esattamente 39 secondi) dal portarsi a casa il “Trofeo senza Fine”. Alla partenza della cronometro finale di Milano, infatti, in maglia rosa c’era lui. Contro il tempo, però, è apparso ancora piuttosto acerbo - e per vincere i Grandi Giri, si sa, a crono bisogna quantomeno sapersi difendere - e così a trionfare è stato Tao Geoghegan Hart, con il quale Hindley era già abituato a confrontarsi anche prima di passare professionista.
Sia chiaro, Hindley è sempre stato considerato una bella promessa: prima di passare tra i grandi aveva vinto il GP Capodarco, si era piazzato quinto al Tour de l’Avenir e terzo al Giro d’Italia U23, con vittoria di tappa a Francavilla al Mare. Era uno dei pupilli della Academy della Mitchelton Scott, insieme a Lucas Hamilton, Robert Stannard e Michael Storer, con i quali ha corso nel 2017 vincendo anche la sua prima corsa tra i professionisti, il Tour of Fuzhou in Cina, con una concorrenza però tutt’altro che irresistibile. Il salto tra i professionisti lui e Storer lo hanno fatto con il Team Sunweb nel 2018, mentre la Mitchelton ha scelto di promuovere nel team maggiore Hamilton e poi, l’anno seguente, Stannard.
L’Italia era nel destino del nativo di Perth, visto che nel 2015, a 19 anni, ha fatto le valigie e si è trasferito in Abruzzo per correre con il Team Aran Cucine. Lì è stato un anno, si è immerso nella cultura italiana, anche se si vergogna un po’ a far vedere quel che sa di italiano, si è allenato sul Gran Sasso e ha cominciato a farsi notare. L’anno dopo è passato in una formazione Continental taiwanese di matrice australiana, l’Attaque Team Gusto, prima di venire notato dalla GreenEDGE Cycling che lo ha inserito nel suo programma giovani.
Nei primi due anni da professionista con la Sunweb, il classe 1996 non aveva particolarmente brillato, a parte un improvviso exploit al Giro di Polonia, chiuso al secondo posto alle spalle di Pavel Sivakov, mentre quest’anno, anche nel pre-lockdown, aveva cominciato a mostrare qualche colpo interessante. In patria aveva vinto l’Herald Sun Tour a febbraio, conquistando i due arrivi in salita a Falls Creek e sul Mount Buller, mentre dopo lo stop forzato si è ripresentato con un 14° posto al Giro di Polonia e un 13° alla Tirreno-Adriatico. Due discreti piazzamenti in corse WorldTour, ma nessuno si sarebbe immaginato che di lì a poco più di un mese sarebbe diventato il terzo australiano della storia, dopo Cadel Evans e Richie Porte, a salire sul podio di un Grande Giro.
Sicuramente non se lo aspettava nemmeno la Sunweb, che lo aveva promosso a fido scudiero del talentuoso ma mai sbocciato Wilco Kelderman, e che invece si ritrova in casa un super scalatore da coltivare nei prossimi anni. Certo, avendolo saputo prima, magari, Kelderman e Hindley sarebbero partiti a ruoli invertiti e adesso staremmo parlando del primo australiano a vincere la maglia rosa…
In ogni caso, in un anno con poche certezze, Hindley sembra poterci dare la sicurezza che sulle grandi montagne, nei prossimi anni, si unirà anche lui al festival dei giovani di talento e avrà un ruolo da protagonista nella lotta per le grandi corse a tappe.
«Una corsa incredibile, una montagna russa di emozioni - ha spiegato il ventiquattrenne con un viso da bambino che lo fa sembrare ancora più giovane di quanto sia, subito dopo aver stappato lo champagne sul podio di Milano -. Mi sono divertito, un’esperienza indimenticabile. Ovviamente il finale è stato agrodolce, ma va bene così, è stato comunque emozionante salire sul podio di fronte al Duomo di Milano. La cronometro è stata quasi irreale, con tutti i tifosi che urlavano lungo il percorso. Non mi sono concentrato sulla vittoria, quanto sul fare la migliore cronometro possibile. L’ho fatta, ma purtroppo non è bastata per portarmi a casa il Giro».
Nessun rimpianto, quindi, per Jai, che non vuole nemmeno ascoltare le critiche fatte al suo team sulla condotta di gara, soprattutto nell’ultima settimana, quando lui sembrava il più brillante del gruppo e capitan Kelderman ogni giorno di più dava segnali di cedimento.
«Leggendo vari commenti su Twitter, ho visto che ci siamo presi un bel po’ di insulti riguardo le tattiche - continua Hindley -. Io invece credo che non abbiamo sbagliato nulla. Tatticamente, viste le forze in campo, penso che abbiamo preso le decisioni giuste, ma avendo due corridori sul podio ovviamente ci chiedono come mai non abbiamo vinto. I direttori sportivi, però, a mio parere si sono mossi bene ogni giorno e non credo che potessimo fare di più».
Questi discorsi, per il momento, non sembrano interessarlo, perché quello che ha ottenuto è andato oltre qualsiasi sua aspettativa. Perciò, è giusto godersi il momento e pensare a quel che sarà: «Quando ero un bambino avevo il sogno di diventare un professionista e quel sogno si è avverato. Essere qui a giocarmi la vittoria di un Grande Giro è qualcosa di pazzesco. Il Giro d’Italia è incredibile, durissimo ma bellissimo. Sicuramente ci tornerò».
Ti aspettiamo a braccia aperte Jai!
da tuttoBICI di novembre
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.