Hanno caviglie grosse, cosce forti, soprassella (quanto storico pudore in questo sinonimo) abbondante, sguardo ottimista e naso da ciclista. Il naso da ciclista è, tradizionalmente, importante: quello dei corridori fa da spartivento, quello dei cicloturisti da punto di riferimento. Indossano il caschetto e sfoggiano uno zainetto. E spesso si alzano sui pedali. Per guardare avanti, per andare lontano.
Altan li disegna così. Gregari e amatori, gitanti e turisti, insomma: ciclisti. Colorati e organizzati, fiduciosi e speranzosi, insomma: rigogliosi. Ediciclo ha raccolto undici copertine disegnate da Francesco Tullio-Altan, 78 anni, il papà del metalmeccanico Cipputi e della tenera Pimpa, che è anche un libriccino pubblicato proprio dalla casa editrice di Portogruaro e che rappresenta il simbolo del candore e della semplicità, della leggerezza e dell’affetto. Adesso queste undici copertine sono soltanto una email, ma chissà che non possano diventare una mostra itinerante o, almeno di questi tempi, virtuale.
C’è quello che confessa di andare “a portare a spasso il bambino che è in me” (da “Amati giri ciclici” di Giancarlo Pauletto). C’è quello che dichiara “osservo tutto con curiosità infantile” e quello che, per ribadire il concetto, gli ribatte “ci siamo dimenticati i pannoloni per il bambino che è in noi” (da “La mia bici va a potassio” di Albano Marcarini). C’è quello che decide di disertare le quattro ruote e adottare le due (da “Minima pedalia” di Emilio Rigatti). C’è quello che recita “l’importante è partecipare” e l’altro che gli precisa “sì, e che a tutti gli altri gli scoppino le gomme” (da “Il diario del gregario” di Marco Pastonesi). E c’è anche Altan: è uno di quei tre che pedalano, all’ombra di una mezza luna, fra le moschee, sulla copertina di “La strada per Istanbul” (di Rigatti).
Forse il più altaniano dei ciclisti di Altan è quello che non pedala, ma acrobaticamente volteggia, il piede sinistro sul perno centrale del manubrio, quello sinistro slanciato indietro, braccia danzanti, capelli al vento, nasone aerodinamico (da “Lo Zen e l’arte di andare in bicicletta” di Claude Marthaler). Come una goffa eleganza, come una volatile gravosità, come un obeso sfarfallio. Che poi è la nostra eterna inadeguatezza, elefanti in una cristalleria. Ma che poi è anche la nostra eterna aspirazione, quella di scrollarsi dalle beghe quotidiane e liberarsi fino a librarsi. “La sua satira graffiante – scrive Ediciclo – lascia il posto a una visione più sognante e poetica in cui ombrelli e banane lasciano il posto a simpatiche biciclette”. In bici, Altan vola alto.
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