Eros Capecchi l’anno scorso in questo periodo era impegnato a rilassarsi sulle bellissime spiagge di Zanzibar, meta di riferimento per molti corridori. Quest’anno invece, per le restrizioni imposte dal governo a causa del Coronavirus, niente viaggi e niente vacanze. Lo raggiungiamo telefonicamente a Borghetto di Tuoro - dove abita - mentre sta passeggiando con Stiby, il suo lupo cecoslovacco di soli dieci mesi: «È un finale di stagione atipico, a novembre solitamente ho sempre fatto qualche viaggio. Quest’anno è andata così ma non mi lamento. Mi piace molto lavorare nell’attività di famiglia (un florovivaio sulle rive del lago Trasimeno ndr) e trovo sempre qualcosa da fare, non ho tempo per annoiarmi. Mi godo anche le passeggiate insieme a Stiby, e sono certo che sia un’ottima soluzione per ricaricare le batterie in vista della prossima stagione».
Eros, come stai?
«Sto recuperando dalle fatiche di questa stagione che per me è stata forse la più difficile di tutta la carriera, nonostante i miei valori fossero ottimi e sicuramente migliori di altri anni. Il lungo stop non mi ha permesso di avere la continuità che cercavo: non sono più giovanissimo e quindi faccio più fatica a trovare la giusta condizione. Il Giro è stato durissimo per me, ho anche pensato di non riuscire ad arrivare a Milano: ci sono stati giorni in cui non mi sono sentito bene, ma ho resistito e alla fine sono riuscito a portare a termine il mio dodicesimo Giro».
Cos’hai avuto?
«Durante la terza tappa (la Enna-Etna, ndr) ho avuto qualche linea di febbre e mal di testa, un po’ di malessere generale. Però devo dire che già dal giorno dopo sono stato meglio, anche se non sono arrivato mai al massimo della condizione».
Quindi qual è il bilancio di questo 2020 così atipico?
«Se dovessi darmi un voto mi darei un sei, giusto per passare all’anno dopo come si fa a scuola - ride -. Mi aspettavo anche qualcosa in più a livello personale e invece così non è stato. Tiro una riga e riparto, anche se ammetto di essere un po’ timoroso sulla ripartenza: non credo sarà semplice come a dirsi, anche se mi auguro che questa situazione possa migliorare al più presto».
La Corsa Rosa è stata l’ultima gara della tua stagione. Che cosa stai facendo in queste settimane?
«Dopo il Giro ho fatto due settimane senza toccare la bici. Quando ero più giovane stavo anche un mese senza allenarmi, tornavo in bicicletta e mi sentivo subito bene. Adesso non è più così, purtroppo. Gli stop lunghi li accuso molto. Ho quindi ripreso a fare qualche giro in bici, ma niente di impegnativo. Per il resto faccio l’agricoltore e mi godo molte passeggiate con Stiby».
E con la preparazione, quando rincominci?
«Inizierò più avanti, non ho ancora una data precisa. A gennaio, Covid-19 permettendo, andiamo con la squadra in ritiro in Spagna, ad Altea».
Quando sei a casa ti alleni insieme a qualcuno oppure esci in solitaria?
«In una stagione normale c’è poco tempo per allenarsi sulle strade di casa, tra i vari ritiri e le corse. Quando sono a casa però ogni tanto esco con il Benna (Daniele Bennati ndr) e a volte, quando torna a casa, con Salvatore Puccio. Poi ci sono molti amatori, che non mi abbandonano mai, specie nei primi chilometri di allenamento».
L’anno prossimo correrai ancora alla Bahrain. Ti ha dato sicurezza sapere di avere un contratto per la prossima stagione, visti i problemi legati alla pandemia?
«Diciamo che ho corso un po’ più a cuor leggero. Le stagioni in cui sono in scadenza di contratto, le vivo sempre molto male. Sapere di avere un contratto per il 2021 mi ha dato sicuramente maggior sicurezza. Posso immaginare che per i corridori in scadenza di contratto quest’anno non sia stata stagione semplice».
«La prossima sarà la tua sedicesima stagione da professionista. Quali sono le aspettative?
«Come vola il tempo... Vorrei avere un buon rendimento e mi piacerebbe anche valutare insieme alla squadra la possibilità di correre anche nelle prossime stagioni. Una cosa però è certa: lo farò solo fino a quando mi sentirò competitivo e nel momento in cui mi renderò conto di non riuscire più a stare in gruppo saprò che è arrivato il momento di appendere la bici al chiodo. Mi piacerebbe chiudere la carriera con un buon ricordo dopo tutti questi anni».
Siamo in pieno ricambio generazionale. Che consiglio puoi dare ai tanti ragazzi emergenti?
«Mi piacerebbe dire ai giovani di approfittare di questi momenti di maggior spensieratezza dovuta anche alla loro giovane età, e di rimanere sempre umili, di pedalare a testa bassa sempre. L’importante è non sentirsi mai arrivati, ma cercare di migliorare sempre. E questi sono anche i consigli che ho dato a Santiago Buitrago al Giro di Lussemburgo lo scorso settembre quando, per un errore di inesperienza, durante l’ultima tappa ha alzato le braccia al cielo al penultimo giro del circuito cittadino pensando di aver vinto».
Come l’ha presa Santiago?
«Non benissimo, ma abbiamo cercato di tirarlo su di morale. Sono errori che possono capitare, soprattutto da giovani, per crescere si passa anche attraverso a queste cose. Sono sicuro che è un errore che si ricorderà per sempre e la prossima volta presterà più attenzione».
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