Devo confessare un pentimento. Meglio: una conversione. Voglio fare outing perché lo sento come un dovere, in nome di verità e giustizia. Sono qui a riconoscere senza remore e giri di parole che per molto tempo non ho sopportato l'armata britannica, nata Sky, ora Ineos, ma che ora mi ritrovo a volerle molto bene. Succede: è un piacere, nella vita, cambiare in meglio le opinioni su qualcosa o qualcuno. E' anzi un peccato che non succeda così di frequente.
Inutile star qui a raccontare, anche perché non interessa a nessuno, il motivo della mia precedente antipatia: più che altro nasceva davanti ai modi francamente un po' sbruffoni, da cumenda a Portofino, quanto costa, non c'è problema, lo prendo, che la danarosa squadra di sua maestà aveva introdotto. Non era il primo squadrone innovatore che vedevamo, noi italiani eravamo ancora freschi di Mapei, tanto per dire, ma sinceramente questo ci metteva qualcosa in più, occhio che arrivo io e invento il ciclismo, anzi lo sport, perchè è ora di chiuderla con gli antiquati e gli impediti.
Eccetera, eccetera.
Vengo alla mia conversione, che ugualmente non interesserà a nessuno, ma che sento di svelare come dovere civico (magari, scopro di non essere neppure il solo). Già l'idea che la Sky, quand'era Sky, comunque mandasse sempre al Giro una signora squadra, magari non la formazione A, comunque una signora squadra, nonostante ogni volta prendesse portellate sul muso, vedi le imprese fantozziane dei Porte e dei Wiggins, dello stesso Thomas, già questo ha cominciato gradualmente ad attenuate la mia diffidenza. Al contrario di tanti altri presunti squadroni di mezzo mondo, che venivano per obblighi di regolamento, la Sky ci veniva sul serio. E ci provava, e ci riprovava. Musata dopo musata. Fino alla grande vittoria di Froome, per la serie a forza di dare testate il muro va giù, basta non arrendersi mai.
Questi i precedenti. Forse, senza che io lo sapessi, le premesse della mia conversione sulla via di Damasco. E quella via, sono felice di dirlo, l'ho trovata proprio in questo Giro. L'armata ha cambiato nome, è Ineos, ma anche quest'anno, fatto salvo il comprensibile assalto al Tour, in Italia ha mandato un signor capitano, quel Thomas che poi purtroppo ci siamo giocati subito in Sicilia su una stupida borraccia. Eppure, proprio da quel preciso momento sciagurato, la Ineos ha cominciato ad apparirmi sotto un'altra luce, una luce bellissima, che secondo me illumina a giorno l'intera storia di questo Giro tenebroso.
Mi sono fatto questo ragionamento, semplicemente. Ci sono squadroni che già vengono in gita, e pazienza. Tanto per dire che ci sono. E poi ce ne sono alcuni che alla prima occasione fanno subito le valigie, come se non aspettassero altro, come se non vedessero l'ora. Stanno qui per concessione, se ne vanno scocciati. Certo le squadre di Yates e di Kruijswijk hanno subito i loro bravi accidenti, ma non hanno aspettato un'ora: basta, non c'è più motivo di restare, tanti saluti al Giro.
E comunque: c'è chi proprio si ritira e c'è anche chi magari resta, ma nessuno se ne accorge. E il Giro ne esce disonorato. Umiliato. Svilito.
In questo, e sono al punto, sta la grandezza della Ineos. Una grandezza che senza mezze misure voglio qui additare pubblicamente, anche a quelli che come succedeva a me proprio non la sopportano: aveva un motivo enorme per staccare, per smettere di esserci persino restando, invece.
Invece non c'è bisogno che rilegga l'intera storia: un saluto al caro capitano e poi tutti sotto a inventarsi un altro Giro. Ma sempre in prima fila, sempre in primo piano. Per noi triplo orgoglio con i capolavori di Ganna, e ci sta pure un po' di sano tifo patriota, ma il discorso non cambierebbe di una virgola neppure se Ganna fosse Van Gannen, belga o danese. E poi la tappa di Cesenatico con Narvaez, e poi, e poi, e poi persino la straordinaria scalata domenicale - di Piancavallo, del podio e della classifica - dell'incredibile Geoghegan Hart. Con la certezza che non sia finita qui.
Guardiamola e magari prendiamola ad esempio, questa Ineos che onora e rispetta il Giro. Che comunque resta un'armata, si muove da armata, pensa da armata, combatte da armata, anche senza il suo generale. Io, nel mio piccolo, sono pronto a chiederle scusa per tutte le volte che ho pensato male. E' il momento buono. Lo faccio stravolentieri. Ancora una volta, c'è la dimostrazione di quanto non andrebbe dimenticato mai, nello sport come nella vita: si diventa squadroni non solo per il budget, ma prima di tutto per lo stile, per le idee, per le azioni. Funziona come tra i signori: squadroni si nasce, non si diventa.