C come cane. Nel senso di animale domestico. Da non confondere con il domestico cane, incapace di servire a tavola e di fare le pulizie. E’ un fedelissimo del Giro d’Italia, specialmente nelle tappe del Sud: da buon appassionato, appena sente la corsa avvicinarsi si precipita in strada. Spesso in mezzo, come accaduto anche in Sicilia nella tappa di Agrigento: un randagio ha spaccato il gruppo in due come un ventaglio ordinato da Bramati. E’ l’evoluzione della specie: dal cane corso al cane da corsa. Ognuno ha la sua specialità: si va dal bovaro delle Fiandre (cane che predilige il pavè) fino al pastore da montagna dei Pirenei (cane che ama le salite). Sulle strade rosa il più popolare è il bracco italiano (cane che marca stretto i corridori). Può spuntare ovunque, come si è visto a Vieste, dove Dowsett non solo ha dovuto staccare i compagni di fuga, ma anche evitare un cane di taglia piccola sul viale d’arrivo, episodio che il britannico ha commentato dicendo ‘quando l’ho visto, ho pensato che il 2020 non avesse ancora finito con me’: ci sta, in un anno da cani.
K come Kruijswijk. Nel senso di Steven, olandese, già maglia rosa. Chiamato dalla squadra Steve o Ste, ma anche Stefano: a fargli venire il sospetto di non avere un cognome facile è quando lo chiamano Giorgio o Pino, o addirittura ‘Ehi tu’. Non gli va certo meglio quando gli domandano dove sia nato: siccome la sua città si chiama Nuenen Gerwen en Nederwetten, preferisce rispondere ‘in una clinica’. E’ l’unico in gruppo al quale non chiedono il codice fiscale: è già sulla carta d’identità. Per via del colore dei capelli, è uno dei rossi del ciclismo, come il Rosso di Buia, al secolo De Marchi, il Rosso di Rostock, più noto come Ullrich, e il Rosso del Conero, molto apprezzato dalle maestranze al Giro. Bravo a cronometro, è considerato scalatore, pur arrivando da un Paese che non ha montagne: si è abituato a fatica e sofferenza imparando a scrivere il proprio cognome. Non si è mai arrampicato più su del terzo posto: a sentir lui fa parte della sua speciale dieta, che non prevede primo e secondo. La sua miglior prestazione risale al Tour dello scorso anno, quando è salito sul podio del Tour: grazie alla divisa della sua Jumbo, è stata la prima volta in giallo a Parigi di uno che non ha vinto. A questo Giro si è presentato all’ultimo momento, costretto a rinunciare alla campagna di Francia da una caduta al Delfinato: a chi gli ha parlato di jella, ha replicato che avere in squadra Roglic, Van Aert e Dumoulin non è un segno di fortuna. Correndo con un team dei Paesi Bassi, fa parte di una scuola abituata a perdere le corse quando sono già vinte, come è successo a Dumoulin alla Vuelta, a Roglic al recente Tour e pure a lui al Giro 2016, la famosa capriola nella neve che gli costò la maglia rosa nel penultimo tappone: quanto basta per tener d’occhio il rivale più temuto dalle squadre olandesi, l’ultimo giorno.
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