Solitamente, se un estraneo si presenta in visita al Giro scatta il deferente e cordiale benvenuto. Con quest'ultimo intruso, il fetentissimo Covid, non è proprio il caso. Quando arriva lui, c'è sempre qualcuno che parte: il primo è Yates, sperando sia l'ultimo, temendo non lo sia per niente. Per la verità Yates era già uscito di scena in modo repentino e decisamente imprevedibile, adesso possiamo anche capire perchè, scusandoci tutti per le censure e le condanne sul suo andamento in gara. Sorry Simon and good luck.
Detto questo, chiudiamola subito con lo choc. Non sta in piedi, non è giustificato. Sul Giro 2020 non è caduto un asteroide senza preavviso, al Giro è arrivato un ospite annunciatissimo. Diciamo piuttosto che si è presentato persino in ritardo, prendendosela comoda, con molti riguardi, per non disturbare subito l'imbastita festa nazionale. Non ha voluto rompere l'anima per un'intera settimana, ma era chiaro ed evidente che prima o poi si sarebbe fatto vivo.
Eccoci al punto previsto e temuto: il Giro-Covid ha il suo primo caso di Covid. Inutile farsi prendere dal panico: è il minimo che dovesse succedere. Tant'è vero che questa corsa nasce già dalla prima ora sotto il segno delle precauzioni e dei protocolli, proprio in vista di evenienze inevitabili. Lo sgomento non deve nascere da Yates: lo sgomento dovrà nascere di fronte a casi e numeri più pesanti. La speranza è mai. Però il dubbio è uno solo: Yates è il caso isolato o è solo il primo della lista?
Da qui in avanti, ogni giorno, ogni ora, ogni momento può essere quello buono – cattivo – per sinistri aggiornamenti. Dobbiamo saperlo. Lo sapevamo. Il che significa una semplice conseguenza: non sarà mai un Giro normale. Lo vediamo già in queste ore: parlare a Vieste di Dowsett e di Almeida, di Fuglsang e di Nibali, è come parlare di viaggi e vacanze in casa di un disoccupato. Nessuno ne ha voglia, sembra indelicato, risulta fuori luogo. Lo stesso tappone (tappotto, dai) di Roccaraso, che occuperebbe tutti i discorsi da almeno due giorni, si presenterà stavolta all'improvviso, saltando fuori chissà da dove, come cambiando discorso, passando di palo in frasca.
E' il Giro al tempo del Covid, prendere o lasciare. L'abbiamo voluto a tutti i costi, dobbiamo sapere che è una cosa così, strana e indefinibile. E' un avvenimento strampalato, è un non luogo in cui l'ordine d'arrivo e la classifica generale possono in ogni momento diventare dettagli secondari, per lasciare spazio alla classifica giornaliera dei contagiati.
D'altra parte, lo stesso pronostico si presenta alquanto anomalo: quello logico e tradizionale direbbe Nibali con una gamba sola, questo all'arrivo del Covid dice che vincerà chi resta in piedi, superando contagi, neve in quota e temperature polari, fino a Milano. Sempre che a Milano ci si arrivi.
E' un bel Giro? E' un grande Giro? E' semplicemente qualcosa che gli somiglia vagamente, alla lontana. Niente di più. Ma è tutto quello che ci è concesso. Tutto quello che ci possiamo permettere. Guardando gli ultimi dati mondiali e nazionali della pandemia, è persino un lusso sfrenato.