L’Ugo. L’articolo a indicarne la provenienza, lombarda, San Giorgio su Legnano per la precisione. E il nome, senza la H iniziale che distingueva lo svizzero Koblet, più agile, più svelto, più semplice, così come Massimo Troisi avrebbe chiamato un bambino bocciando il troppo lungo Massimiliano. L’Ugo era il gregario, il luogotenente, la seconda punta, il santone, il direttore sportivo in corsa, il gregario dei campioni e il campione dei gregari.
L’Ugo era l’Ugo Colombo. Esordiente e allievo nell’Unione sportiva ciclistica Villa Cortese, dilettante nell’Unione sportiva Rescaldinese e nel Velo club Cuggiono, dal 1964 al 1974 professionista nella Springoil-Fuchs, nella Filotex e nella nazionale italiana, e qui 18 vittorie, comprese tre tappe al Giro d’Italia, più un terzo e un quinto posto finale. Ci sarebbe voluto un libro per raccontarne la storia, e le storie, mai abbastanza rivelate, conosciute, apprezzate. “Un campione alla Ugo Colombo” (di Renzo Zannardi, Velar Marna, 448 pagine, 32 euro, prefazione di Germano Cavalli e postfazione di Walter Cecchin) ci salva da un vuoto indifendibile.
A domanda, l’Ugo – con schiettezza, con sincerità, con gratitudine – risponde pedalando in tutti i suoi ieri. L’antidoping: “Improvvisamente molti corridori iniziarono ad andare più piano, io continuavo ad andare come prima e conseguentemente si ebbe l’impressione che andassi molto più forte”. La tattica: “A livello filosofico, ho sempre sostenuto che per me la corsa finiva all’ultimo chilometro, se non dovevo tirare la volata”. La fedeltà: “Ho avuto diverse occasioni di cambiare casacca... ma per volontà mia, o coincidenze, non ho mai preso in seria considerazione questa eventualità... Pensa che Gianni Mura, nel 1968, venne a casa mia per convincermi a fare il capitano alla Max Meyer con ds Gastone Nencini. Gianni rimase fino alla tre di notte ma non andai alla Max Meyer”. La coscienza: “Questa fedeltà mi sarà anche costata in termini di risultati sportivi, e forse economici, ma la Filotex mi ha anche dato la possibilità di realizzarmi come atleta e come uomo”. La morale: “Non rimpiango nulla”.
L’Ugo è una miniera di episodi. Taccone? “Durante il Giro di Svizzera, mi pare del 1965, ero seduto su una panchina in riva al lago di Murten insieme a un gruppetto di altri corridori, cadde un uccellino dal nido e Vito disse: volete vedere che con un morso gli stacco la testa? Guido Carlesi rispose: se sei capace di fare una cosa simile ti pago una Coca Cola! Lui prese l’uccellino tra le dita e con un morso gli staccò la testa”. Altig? “Rudi, quando era alla Molteni, mangiava montagne di pasta e carne e beveva birra. Poi si faceva riempire la vasca da bagno con dei cubetti di ghiaccio e vi si immergeva, restandovi rilassato finché il ghiaccio non si era completamente sciolto”. De Prà? “Un giorno Tommaso De Prà, altro compagno di Altig, disse: voglio provare a fare come Rudi. Noi facemmo di tutto per dissuaderlo, gli dicemmo che non era un tedesco... ma lui mangiò pasta e carne e bevve vino in grande quantità, poi s’infilò nella vasca da bagno ricolma di ghiaccio. Dopo pochi minuti sentimmo le sirene dell’ambulanza che venne a prenderlo in preda a una congestione”. Fornoni? “Alcune sere Giacomo girava per l’hotel vestito con una tuta nera come fosse Diabolik e bussava alle camere dei soggiornanti facendoli sobbalzare”.
L’Ugo se n’è andato pochi giorni dopo aver letto e riletto e corretto il “suo” libro. Erano le 10 di mattina del 10 ottobre 2019. A quell’ora, durante la sua seconda vita, l’Ugo sfornava l’ultimo carico della giornata. Panettiere a Pontremoli: che cos’altro avrebbe potuto fare l’uomo che per anni, per giri e classiche, su colline e montagne, aveva dato da mangiare e portato da bere a Bitossi e Zilioli, Ritter e Moser? Invece quel giorno l’Ugo ha sorpreso il gruppo e se n’è andato via, da solo, in fuga. Roba da campioni. Campioni alla Ugo Colombo.
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