Maglietta bianca, pantaloni formali. Capelli corti. La mano destra, casualmente, all’altezza del cuore. Sguardo rivolto verso il basso, comunque inconsapevole dell’obiettivo, dello scatto, della foto. Un attimo rapito al tempo.
Fausto Coppi, a Sabaudia, nel 1954. L’immagine fa parte di una collezione in mostra nella piazza del Comune e intitolata “Come eravamo”: dai film girati a Sabaudia (da “Straziami ma di baci saziami” di Dino Risi con Nino Manfredi e Ugo Tognazzi a “Amore mio aiutami” di e con Alberto Sordi e Monica Vitti, da “Totò sceicco” con il principe Antonio De Curtis fino al recentissimo “Magari” di Ginevra Elkann) ai compagni di squadra (i personaggi che hanno popolato e animato la storia della cittadina laziale, dall’imperatore Domiziano che qui fece costruire una sua villa fino ai protagonisti della “Dolce vita” felliniana).
Sorta nel 1934 con l’idea di elevarla a città dello sport, Sabaudia aveva 20 anni quando ospitò Coppi. Fausto ne aveva 35, era campione del mondo in carica, al massimo della celebrità, non più al massimo atleticamente, già diviso – o moltiplicato – fra due donne, fra due famiglie, fra due vite. E il ciclismo, sport nazionale, stava lentamente cedendo platee – di strade e di carta - al calcio.
Coppi è un padre della patria. Se in tutte le città esiste una via intitolata a Giuseppe Garibaldi, se non una targa in cui si ricorda che “qui” era passato, “qui” aveva dormito, “qui” aveva soggiornato l’eroe dei due mondi, in tutti gli archivi, se non in tutti gli album di famiglia, appare una foto con il Campionissimo. Come un segno di appartenenza, un segno di nobiltà. Coppi ritratto o immortalato in una corsa o in un allenamento, in un bar o in un teatro, dal finestrino della sua auto o sul podio di una manifestazione, in braghe corte o in un cappottone invernale, con la bicicletta in mano o con un fucile in pugno, da solo o fra sconosciuti. Proprio come in questa fotografia sabauda: sulla destra, elegantissimo in giacca e cravatta e pochette al taschino, capelli imbrillantinati all’indietro e baffetti curatissimi, sorpreso e compito, chissà chi, comunque uno di noi, un nostro vecchio io, testimone del tempo.
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