QUELLA VOLTA CHE BALMAMION RISCHIO' DI RESTARE SENZA BICI

STORIA | 12/06/2020 | 07:44
di Franco Bocca

Era il 28 maggio 1963: sulla pista dello stadio comunale Vito Taccone batte in volata sei compagni di fuga sul traguardo della decima tappa del Giro d'Italia, La Spezia-Asti di 225 chilometri. La maglia rosa Ronchini e gli altri principali favoriti accusano un ritardo di 4'40''. Tra essi anche il canavesano Franco Balmamion, vincitore del Giro dell'anno prima, ora quarto in graduatoria.


Ad assistere all'arrivo ci sono tre grandi tifosi di Balmamion: Tino Campogrande, Riccardo Battilossi e Giovanni Toppino, arrivati appositamente da Torino per incoraggiare il loro beniamino. Battilossi, tra l'altro, è un artigiano già noto nell'ambiente del pedale, poichè nella sua bottega da calzolaio produce scarpini da corsa molto apprezzati. Li usano già Defilippis, Zilioli e lo stesso Balmamion e negli anni successivi verranno utilizzati anche da Gimondi, Merckx e De Vlaeminck.


Dagli spalti dello stadio i tre appassionati riescono solo a salutare da lontano il loro amico e allora decidono di andare a fargli visita nell'albergo che ospita i corridori della Carpano, a Fons Salera nei pressi di Vignale Monferrato. Partono con la "600" di Campogrande e subito dopo il passaggio a livello, sullo stradone che conduce a Quarto, scorgono un corridore della Carpano che pedala nella loro stessa direzione. Quando lo affiancano, si rendono conto che si tratta proprio di Balmamion, il quale, come all'epoca era consuetudine, stava recandosi in albergo in bicicletta.

"Mi hanno subito proposto di salire in macchina dicendo che mi avrebbero accompagnato loro in albergo - ricorda il campione, 80 anni gagliardamente portati - ma sulla "600" per la bicicletta non c'era posto. Allora Toppino mi ha proposto di salire in auto al suo posto e di affidargli la bici: avrebbe pedalato lui fino a Fons Salera. Io non ci ho pensato due volte e, visto che quel giorno avevo già percorso più di 200 chilometri, ho accettato volentieri. Erano proprio altri tempi...".  E così, passando per Quarto, Valenzani, Castagnole, Montemagno e il Tronco di Vignale, la vettura che ospita Balmamion giunge velocemente in albergo, dove il meccanico della Carpano Nicolini, che aspetta la bici per la quotidiana messa a punto, brontola con Franco che si è fidato ad affidare il suo mezzo meccanico ad una persona estranea allo staff della squadra.

"Sono salito in camera a fare la doccia e il massaggio - continua Balmamion - poi sono sceso a parlare con i miei amici, abbiamo chiacchierato un bel po', ma intanto della mia bici si erano perse le tracce. Con Campogrande e Battilossi facevamo le congetture più disparate. Forse Toppino non era abbastanza allenato e aveva sottovalutato il fatto che avrebbe dovuto percorrere una trentina di chilometri di saliscendi, oltretutto vestito in borghese e con le scarpe che non entravano nei fermapiedi. Oppure si era smarrito sulle colline del Monferrato e non poteva avvertirci. Quando lo abbiamo finalmente visto arrivare, stravolto di fatica, cominciava ad imbrunire e tutti noi abbiamo tirato un bel respiro di sollievo. Da quel giorno la mia bici non l'ho più affidata a nessuno".

Due giorni dopo, Balmamion conquista la maglia rosa sul traguardo elvetico di Leukerbad, poi deve restituirla a Ronchini dopo la crono di Treviso, nel giorno della morte di Papa Giovanni, ma la riconquista definitivamente nel tappone dolomitico di Moena e la porta fino al traguardo finale di Milano, dove vince il suo secondo Giro d'Italia consecutivo. Ma quel giorno, al termine della tappa di Asti, aveva rischiato di restare senza bici...

da La Stampa - edizione di Asti

 

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