Alfredo Bonariva, pistard e stradista: compare in “Coppi ultimo” (66thand2nd). E Nunzio Pellicciari, gregario di Venturelli: le sue avventure si trovano in “Meo volava” (Iaccheri). Ma ho trovato altri miei appunti, inediti e dimenticati. E preziosi.
“Milano-Ghisallo. Era organizzata dalla Unione sportiva Azzini di Milano, la mia società. Solo noi in maglia azzurra e nera eravamo un centinaio. E poi c’erano gli altri. A concepire questa corsa fu Dino Cappellaro, un commerciante di pietre preziose. Il 9 maggio 1955, dunque, pronti-via da piazza del Duomo con la fanfara dei bersaglieri davanti e i corridori dietro” (Alfredo Bonariva).
“La prima corsa, quella dei bersaglieri, era a staffetta, ogni tanti chilometri si davano il cambio, quelli in bici salivano su un camion, quelli su un camion salivano sulle bici. Dopo Seregno, i bersaglieri tagliavano verso Erba e salivano al Ghisallo. La seconda corsa faceva un lungo giro per 133 chilometri di gara. Tutte e due le corse si concludevano quasi contemporaneamente alla chiesetta” (Alfredo Bonariva).
“Mi chiesero di partecipare. Ma in quel periodo mi stavo allenando per la pista e nelle gambe non avevo la distanza. Però mi dissero che a Seregno c’era un traguardo a premi e allora mi concentrai su quello. Partii con gli altri pistard della società, da Giuseppe Ogna a Cesare Pinarello, indossavo una maglia di seta da pista, non avevo borraccia né panino. Gli altri pistard si fermarono poco dopo, io continuai fino a Seregno, vinsi il targuardo e incassai il premio: un paio di scarpette da corsa. Mi proposero, già che c’ero, di insistere, ma senza borraccia, senza panino e senza distanza sapevo che non sarei arrivato lontano. Girai la bici e tornai a casa” (Alfredo Bonariva).
“Quel giorno vinse Giannantonio Riccò, di Eupilio, che forse il Ghisallo lo faceva tutti i giorni in allenamento e che correva per la Binda, davanti ad Aldo Moser, trentino, e ad Americo Severini, marchigiano che abitava a Milano, al Giambellino, quartiere della malavita come l’Isola e Porta Cicca. Alla fine fu donata una bicicletta da bersagliere al Santuario del Ghisallo, e la bicicletta dovrebbe essere ancora là” (Alfredo Bonariva).
“Dino Cappellaro non perdeva occasione per rinnovare il suo legame con i bersaglieri. Ogni anno, alla fine della stagione, l’Azzini teneva la festa sociale in un ristorante di via Broletto, a Milano. Vi partecipavano tanti personaggi, non solo del mondo del ciclismo. Tra cena e premiazioni, sul più bello irrompeva la fanfara dei bersaglieri, a passo di carica e di musica” (Alfredo Bonariva).
“Ricordo Giannantonio Riccò come mio compagno di squadra alla Molteni nel 1961. Ho ancora la foto della presentazione della squadra. Lui era già lì da due o tre anni, io venivo dalla San Pellegrino come gregario di Meo Venturelli. Non fu un grande anno: alla Milano-Sanremo Meo cadde in discesa dal Turchino, poi rimandava continuamente il ritorno alle corse, diceva dopo... dopo... dopo... L’anno dopo Meo rimase lì, io passai alla Torpado” (Nunzio Pellicciari).
“Sono nato a Baìso, in provincia di Reggio Emilia. Come tutti in quegli anni, sono nato in casa. La notte dell’ultimo dell’anno – era il 1934 – a mezzanotte mia madre andò a dormire. Un’ora dopo sono nato io, e a farmi nascere è stata mia zia, la sorella di mia madre, la chiamavano ‘l’ostetrica’ anche se non aveva titoli di studio. Dunque, sono nato l’uno-uno all’una” (Nunzio Pellicciari).
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