Oggi era in programma la Milano-Sanremo. Ho ritrovato, fra i miei appunti dimenticati e inediti, piccoli tesori della memoria.
“La Milano-Sanremo era uno dei sogni dei corridori. Sfiorai la vittoria: nel 1941 fui secondo e nel 1946 terzo. Mi sembra preistoria. E ancora di più la Parabiago-Roma, sei tappe, nel 1938, una specie di Giro delle Regioni per dilettanti e indipendenti. La penultima tappa avevo la maglia, forai cinque volte, persi la maglia. L’ultima tappa arrivai da solo e mi ripresi la maglia. Avevo già 24 anni, però quel giorno capii di essere un corridore” (Mario Ricci).
“La Milano-Sanremo poteva essere la mia corsa, ma entravo in forma tardi. Una volta, in volata, mi presero per la maglia: ci rimasi malissimo, poteva essere la mia grande occasione. Avrei dovuto seguire l’istinto, prenderlo subito a cazzotti, invece ci restai di stucco” (Silvano Ciampi).
“Dormivo in camera con Miguel Poblet, due volte vincitore della Milano-Sanremo, nel 1957 e 1959. Si stendeva sul letto: sembrava Gesù Cristo quando era in croce” (Pippo Fallarini).
“A una Milano-Sanremo vinsi un traguardo volante a Varazze: in palio c’erano quindici giorni di soggiorno estivo. Ma io d’estate correvo. Così girai il premio a Proserpio, lo speaker” (Livio Trapè).
“La Milano-Sanremo non era la mia corsa, la Freccia Vallone sì. Nel 1956 ero solo in testa finché venni ripreso a pochi chilometri dall’arrivo. Avevo finito la benzina” (Sante Ranucci).
“Feci la Milano-Sanremo nel 1958, neoprofessionista nella Ghigi-Coppi. Dalle mie parti – il Biellese – d’inverno faceva freddo, in Riviera si andava ma a proprie spese, insomma, mi presentai senza tanto allenamento. Alla penultima salita mi dissi: è dura. Infatti. Fino a metà del Berta andai bene, poi persi le ruote del gruppo. Arrivai al traguardo a sette minuti dal gruppo, con Pierre Barbotin, gregario di Louison Bobet, che nel 1951 era arrivato secondo. Rifeci la Milano-Sanremo nel 1959, nella Tricofilina-Coppi. Si arrivò con il gruppo compatto. Ero in quindicesima posizione quando affrontmmo quella semicurva alla fontana. Lì inchiodai e addio” (Elio Salza).
“Milano-Sanremo, entrai in una fuga da lontano, nel finale ero stremato, quando si arrivò al Poggio volevo tagliare e abbandonare passando sotto, e non ero l’unico, ma la gente prendeva le bici e le rimetteva sulla strada. Però io ero così stanco che non vendevo più la strada. Insomma, la finii per forza” (Guido Carlesi).
“Tirreno-Adriatico 1981: attacca Bernard Hinault, io e Moser andiamo a prenderlo e lo stacchiamo, e ce la giochiamo in volata, primo io, secondo Moser” (Giuseppe Saronni). “Il giorno dopo Saronni dichiara che punta alla Milano-Sanremo, allora io attacco, all’ultimo Saronni spunta dal niente, vince ancora, poi dice: ‘Quello lo batto anche in ciabatte’” (Francesco Moser). “Dissi: scarpe da tennis, non ciabatte” (Giuseppe Saronni). “Milano-Sanremo. Va via Fons De Wolf, io non mi muovo, Saronni neanche, all’arrivo vado in tv e dico che sono stufo di fare la corsa per Saronni” (Francesco Moser). “Bei tempi” (Giuseppe Saronni). “Ma quando a vincere ero io” (Francesco Moser).
“Eddy Merckx, sette vittorie alla Milano-Sanremo. Non era solo un fuoriclasse: era una bestia. Avrebbe vinto anche con un paio di ciabatte” (Severino Andreoli).
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