Nel 2019 ha vinto di tutto e di più sull’ammiraglia della Deceuninck Quick Step (70 corse di alto e altissimo livello). E ha bissato il successo del 2016 vincendo l’Oscar tuttoBICI come miglior direttore sportivo dell’anno. Stiamo parlando di Davide Bramati, milanese di Vaprio d’Adda classe 1968, che vanta una lunghissima milizia nel ciclismo: professionista dal 1990 al 2006 e poi subito in ammiraglia. Recente passato e imminente futuro si rincorrono nella chiacchierata di inizio anno.
Davanti a questi risultati, come si può andare oltre? Come si fa ad alzare l’asticella?
«Non è mai facile migliorarsi. Lo scorso anno abbiamo vinto tanto, ma anche negli anni precedenti è stata la stessa cosa. Tanta qualità nelle vittorie del 2019, continuiamo a lavorare come abbiamo sempre fatto e poi vedremo. Ripetersi non sarà facile: dobbiamo cercare di non guardarci mai indietro e lavorare sodo guardando avanti. È il nostro segreto, il segreto del Wolfpack».
Da corridore sei stato lesto e bravo a capire quale poteva essere il tuo ruolo, quello di gregario puntuale al servizio dei leader, e lo hai fatto tuo. Bici al chiodo e sei salito subito in ammiraglia e anche lì come direttore sportivo hai lavorato con umiltà, hai “fatto la gavetta” e sei diventato uno dei migliori nel tuo ruolo. Oggi moltissimi farebbero la firma per fare una carriera nel ciclismo come quella che hai fatto tu. Quali sono le regole, se esistono, per arrivare così in alto?
«Da corridore ho capito dopo due/tre anni quale era il mio ruolo: c’erano corridori più forti di me e quindi ho iniziato a fare il gregario e ho avuto la possibilità di essere al fianco di grandissimi campioni, di fare 17 anni di carriera. I sacrifici fatti sono stati tutti ripagati. La passione che ho sempre avuto quando ero sulle due ruote della bici l’ho portata sulle quattro ruote dell’ammiraglia. E’ rimasta sempre quella, mi piace stare in questo ambiente ed è sempre la stessa cosa: la voglia e i sacrifici ripagano, e spero ripagheranno ancora per qualche anno».
Cosa ti ha colpito di più nella trasformazione da corridore a direttore sportivo?
«Quando sei corridore pensi più a te stesso. Appena sono sceso di sella ho iniziato a rendermi conto che iniziavo a lavorare per la squadra, che devi pensare non più a te stesso ma a tutto il gruppo, a tutta la squadra, e questa è la prima differenza che noti. Ed è importante capirlo subito e lavorare per il gruppo, cercare di aiutare tutti, di far crescere tutti. E questa, penso, è la forza di tutte le squadre che stanno andando avanti bene e che sono all’altezza di questo ciclismo».
In ammiraglia vince ancora il diesse? O meglio, il diesse riesce ancora a influire e portare un proprio corridore alla vittoria?
«Non è facile. Sicuramente la corsa viene chiaramente preparata prima, e durante il suo svolgimento si cerca di consigliare i ragazzi, ma delle volte è un attimo che decide tutto. Ed è anche l’istinto dell’atleta che fa la differenza. Mi è capitato più di una volta di essere partecipe nelle vittorie con decisioni prese al momento, ma la cosa importante è creare un grande gruppo molto affiatato in modo che ognuno poi dia il 110% fino alla linea bianca del traguardo».
La vittoria più bella del 2019?
«La Milano-Sanremo in ammiraglia mi mancava ed è arrivata con un grande Alaphilippe. Penso che la Sanremo per un diesse italiano sia una grandissima vittoria».
Qual è invece la vittoria che ti è sfuggita e che ti è “rimasta sullo stomaco”?
«Mi manca la vittoria che è stata tolta ad Elia Viviani al Giro d’Italia (squalifica nella volata della terza tappa da Vinci ad Orbetello, ndr). Era da tanti anni che non capitava di non vincere come squadra una tappa alla corsa rosa, non vincere sulle strade della mia terra mi è dispiaciuto».
A proposito di Elia Viviani: non sarà più con voi nel 2020, cosa cambia?
«Banalmente che sarà in un altra squadra e quindi un nostro avversario. Purtroppo è così, sono le regole del gioco. Elia lo devo ringraziare, ha fatto due stagioni bellissime con noi, ci ha regalato tante soddisfazioni e di sicuro tra le tante vittorie ricorderò quella al campionato italiano a Darfo Boario Terme nel 2018: tutti pensavano che non era alla sua portata e invece disputò una grandissima gara. Un vero professionista, e sicuramente servono corridori così in Italia».
I “sogni nel cassetto” si fanno a qualsiasi età. Qual è quello di Davide Bramati?
«Ce ne sono tanti, non nego che vorrei portare un mio corridore alla vittoria di un Grande Giro».
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