Qualcuno ha notizie di Carapaz? Dice niente questo nome? Per chi faticasse a ricordare, confermo che si tratta dell’ultimo vincitore a casa nostra, al Giro d’Italia. È passato un mese, poco più, ma sembra già di parlare dei Gutemberg e dei Galilei. Con una differenza sostanziale: di quelli nessuno si scorderà mai, di Carapaz si può fare molto in fretta a rimuovere.
Le ultime notizie e le ultime immagini me lo danno in processione nel suo paese impazzito, questo Ecuador che mai e poi mai avrebbe pensato di vincere un mitico giro in Europa. Erano i primi di giugno, subito dopo il trionfo veronese. Da allora, fuori dai radar. E adesso che si parla di Tour, normale torni la curiosità: dove diavolo è finito Carapaz?
Sulla corsa francese, nessuna possibilità di equivoci: già a poche ore dal trionfo italiano, ancora in maglia rosa, il prodigioso Richard si era affrettato a dire no grazie, proprio non ce la faccio. Comprensibile: vincere il Giro a quel modo, sopportando le pressioni a mille atmosfere che toccano agli outsider poco abituati, oggettivamente non è una serenata. Normale che di tutto gli si potesse parlare, di pesca sportiva e persino di burraco, ma non di risalire in bicicletta un mese dopo per fare bella figura al Tour. Ci sono momenti della vita in cui anche della passione più sfrenata faremmo tutti piccoli pezzi, con una potente motosega. Chiamiamola saturazione. E non c’è altro da dire.
Resta però aperta una questione molto importante, che supera il caso personale di Carapaz. Purtroppo, una questione per niente nuova, che ciclicamente (in tutti i sensi) si ripresenta lasciandoci un po’ così. Questa: saranno pure i tempi moderni, sarà che il mondo è cambiato completamente, ma davvero possiamo abituarci all’idea che per tre settimane ci gustiamo un idolo e poi questo idolo sparisce disperso nel cosmo, chissà fino a quando?
Ci sono ovviamente precise ragioni tecniche alla radice del fenomeno sparizioni. La prima si chiama riposo. Però c’è anche e innegabilmente una spiccata tendenza moderna a esasperare questa nuova regola, per cui succede il più delle volte che non appena si fa conoscenza di un talento questo sparisce dalla circolazione. Magari adesso Carapaz ricompare vincendo San Sebastian, la Vuelta e chiude dominando il Mondiale, il che non mi farebbe per niente rabbia, anzi mi riempirebbe di gioia, persino della gioia di ammettere che nella vita si dicono un sacco di asinate. Però lo voglio vedere. Però deve succedere.
E se invece succede, com’è successo altre volte, che il trionfo di maggio resterà la perla luccicante del 2019, ma unica e intoccabile fino all’anno prossimo? Come la mettiamo con la popolazione dei tifosi, da troppo tempo chiamati alla passione sincopata? Al mordi e fuggi? Al ritrovarsi ogni tanto prede di domande inevitabili, ma che fine ha fatto coso, ma sì, dai, quello che ha vinto il Giro, quel sudamericano forte in salita, o era cubano?
Se sarà così anche stavolta, so già io come finirà. Riprenderemo ad aprire convegni cercando di capire come mai la gente si appassioni tanto a Valentino Rossi, ma anche a Marquez e a Dovizioso, mentre delle star del ciclismo nemmeno sa il nome. Riprenderemo con i piagnistei e i vittimismi, come calimeri irrecuperabili, imbronciati con la cattiveria di questo sporco mondo. E in tutto questo, magari, qualcuno continuerà pure a storcere il naso sulla statura del campione Nibali, mettendone in dubbio il peso specifico nella storia, trascurando il particolare che come un salmone controcorrente si ostina a correre, a correre, a correre, sempre, ovunque, da gennaio a ottobre. Chissà come mai, però, in nessun angolo del mondo, proprio nessuno si chiede che fine ha fatto coso, quello forte in salita e forte in discesa, quello siculo, o era friulano?
da tuttoBICI di luglio
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