J come Justine. Nel senso di Mattera, showgirl e attrice statunitense naturalizzata italiana. Molto popolare sui social, dove si presenta in pose provocanti: classico caso di artista spigliata e spogliata. Ciclista praticante, appena può sveste i suoi abituali panni e sale in bici: per farlo, si riveste. Ha una forte tendenza agli incidenti: pur non ballando abitualmente il tango, è predisposta al casquè. Un paio di settimane fa, in occasione di una gara di triathlon a Riccione, si è fatta male al bacino: classica botta di vita. Le è andata peggio al Giro, dove occasionalmente partecipa alle pedalate amatoriali organizzate tutti i giorni da Mediolanum con campioni del passato: fra gente che va matta per la bici, ci sta benissimo una Mattera. Nel finale di una prova durissima (‘contro vento da Broni a Novi Ligure, con gente che andava a 35 orari, con i miei 46 chili ero stremata all’arrivo’, ha scritto sui social), Francesco Moser ha provato a insegnarle il cambio all’americana: forse in omaggio alle sue origini d’oltre oceano. Con un risultato disastroso: Justine è volata via, confermando che la sua Colnago è una bici che vola. Oltre alla bici, ha rovinato il suo invidiabile fisico: fra botte al gomito e sbucciature sull’anca ancora sana, ne è uscita conciata come se avesse svegliato un orso dal letargo. ‘Non mi dite che non ci sono due senza tre’, ha comunicato agli aficionados, dopo aver sperimentato sulla sua pelle una nuova tecnica da pistard: il cambio (di connotati) all’americana.
M come Mareczko. Nel senso di Jakub, ciclista della Ccc. A dispetto del cognome polacco, è italianissimo: nato a Jaroslaw, è sbarcato sul lago di Garda all’età di quattro anni. Vive a Raffa di Puegnago: i nomi complicati fanno parte del suo essere. Racconta di non vedere differenze fra i due Paesi: intende Polonia e Italia, non quelli dove ha messo su casa. Parla benissimo l’italiano, ma deve ancora migliorare il vocabolario da velocista: a lui ne hanno dato uno senza la parola ‘salita’. Non a caso, alla prima che si è trovato davanti in questo Giro, nella Cuneo-Pinerolo, è andato fuori tempo massimo: avendo promesso alla vigilia ‘arriverò in fondo’, è stato subito di parola. Un anno fa, in maglia Wilier, ha fatto di meglio: protetto dai compagni, dopo la prima settimana, prima di ritirarsi, in fondo alla classifica ha portato la squadra intera. Nella corsa rosa ha una regolarità che nemmeno un orologiaio svizzero: in quattro edizioni disputate dal 2016 a oggi, non ne ha conclusa una. Né è mai riuscito a centrare una tappa, pur avendola sfiorata in un paio di occasioni: dopo aver dichiarato che nello sprint ‘il segreto è restare coperti’, lo dimostrato anche con i fatti. Di gare, comunque, ne ha vinte molte in giro per il mondo, la maggior parte in Cina: di questa suo feeling aveva dato segnali da dilettante, conquistando il Gran premio Fiera del riso. In gruppo lo chiamano Cuba: lui pensa che sia un soprannome, in realtà, dopo i successi in Africa e in Sud America, è un invito a puntare a traguardi inesplorati. A portarlo nel ciclismo di prima fascia è stata una squadra del suo Paese d’origine, la Ccc, già ribattezzata ‘Cuba, Corri o Cammini?’: lo ha voluto perché aveva bisogno di un polacco, ora si augura che non sia anche un po’lento.