Un Manzoni l’avrebbe già messo nel suo castello, entità indefinita e inafferrabile, ma potente e incombente come una terribile eminenza grigia. Ebbene sì, c’è un Innominato anche qui, al Giro 2019. Da una settimana si parla di tutto e di tutti, ma lui è riuscito nell’impresa di sparire dalle chiacchiere. E dai radar. Lo strapotere di Roglic, la regolarità di Nibali, la sfortuna di Dumoulin. E i velocisti, e i giovani italiani, e il brutto tempo, e la neve sul Gavia. E all’Aquila quant’è pollo Formolo.
I temi non mancano, si parla veramente di tutto, ma neanche una parola, o quasi, sull’Innominato. Lui sta chiuso nel suo silenzio, nella sua trasparenza, sfila sullo sfondo senza farsi notare. Ma c’è. Non lo si nota, non vuole che lo si noti, ma c’è. Presente in tutte le faccende che contano, fantasma nei momenti che non contano nulla.
L’Innominato degemellizzato è chiuso nella sua fortezza e non si concede. Per adesso. Prepara i suoi intrighi nelle segrete del gruppo, tenendo sempre d’occhio tutto e tutti, senza che nessuno quasi se ne accorga. La sensazione è che aspetti solo il momento giusto per uscire allo scoperto e seminare il terrore.
Se non si sapesse con certezza che il gemello Adam è ben lontano dal Giro, si potrebbe pensare che quest’anno in Italia ci sia lui. O che addirittura ce ne sia un terzo, in famiglia. Perché nessuno, in carovana, ha ancora riconosciuto con certezza che quello in corsa sia davvero lo stesso dell’anno scorso. Proprio lui. Ma è veramente difficile da credere, perché quello dell’anno scorso era l’opposto, tutto fuorchè l’Innominato: bisognava nominarlo tutti i giorni, in tutti i momenti, perché non perdeva una sola occasione per mettersi in mostra e fare fracasso. Attaccava sui cavalcavia, sprintava ai traguardi intermedi, esplodeva sugli strappi finali. Un tarantolato vero, plateale e anche un po’ esibizionista, ascendente bulletto. Talmente ossessionato dalla ribalta, che alla fine il troppo lo stroppiò sul Colle delle Finestre, dove ancora fece parlare molto di sé, ma stavolta per la deflagrazione che lo mandò in minuscoli frantumi.
Ecco: noi dovremmo credere che quello là, proprio quella primadonna estroversa e debordante, sia lo stesso Yates che qui, adesso, sta nell’ombra, non spreca niente di niente, neanche lo zucchero nel caffè, non un granello che non sia strettamente necessario. E’ incredibile, ma è proprio così. L’Innominato che aspetta il momento giusto per colpire. L’Innominato che nessuno può nominare a vanvera. Attenzione, gente del gruppo: è l’Innominato che sembra avere imparato sul serio come si corre un Giro. Per vincerlo, non per farsi nominare.