Pochi giorni fa abbiamo intervistato Fausto Masnada per il numero di aprile di tuttoBICI. Da allora molte cose per il bergamasco della Androni Sidermec sono cambiate e non avrebbe potuto essere diversamente con due vittorie di tappa al Tour of the Alps. Vi proponiamo di fare con noi un viaggio nel suo mondo.
La bici gli piace così tanto che ci farebbe un giro anche dopo 266 chilometri di fuga alla Milano-Sanremo. Fausto Masnada è un attaccante nato, uno che non ama l’anonimato del gruppo e che ormai conosciamo con un lottatore. Il venticinquenne bergamasco della Androni Sidermec ha il coraggio di guardare oltre il limite e di nutrirsi di sfide impossibili. Ci aveva provato al Giro d’Italia 2018: dopo 222 chilometri in avanscoperta, lo avevano acchiappato a duemila metri dal traguardo, lassù sul Gran Sasso. Si è confermato alla Classicissima resistendo alla rimonta dei migliori più a lungo di tutti e dieci i protagonisti della fuga che aveva preso il largo nei primissimi chilometri. Conosce la fine che farà, sa che lo riprenderanno perché lui non è Girardengo e nemmeno Coppi, che quando partivano nessuno riusciva più a fermarli, però insiste nella sua azione con la tenacia dell’uomo normale che prova a giocare uno scherzo al destino e ai nomi blasonati che tutti si aspettano. Sbuffa come una locomotiva, stringe i denti, lascia tutto quello che ha sull’asfalto. Mangia la strada con la voracità di chi non si è mai seduto a un banchetto principesco, ma il suo sogno si infrange a 25 chilometri da Sanremo. Insieme al mal di gambe e all’emozione provati, gli resta la speranza. Prima o poi sarà la volta buona. La sua.
La fuga è il tuo marchio di fabbrica.
«Alla mia seconda partecipazione alla Milano-Sanremo mi sono inserito nel gruppetto giusto, abbiamo collaborato bene fino al Capo Berta, poi quando è iniziata la selezione ho stretto i denti fino a che ho potuto. Rimasto da solo, il vantaggio residuo era ormai limitato, mi sono detto “vado a tutta fin che riesco, finché mi prendono”. Quando all’attacco della Cipressa mi sono voltato e ho visto il gruppo, ho iniziato a sentire il mal di gambe. Andare all’attacco è il modo di correre che mi piace di più. Quando la squadra mi dà il via libera, preferisco cercare l’azione da lontano perché, essendo molto resistente, mi dà più possibilità di vittoria. Magari la fuga non andrà in porto, ma piuttosto che arrivare ventesimo con una corsa anonima, preferisco mettermi in mostra».
Da chi vorresti essere notato?
«Alla mia terza stagione nella massima categoria voglio fare un salto di qualità importante per essere all’altezza di un ambiente più grande. Raggiunto l’obiettivo di passare professionista, il prossimo step è meritarmi il World Tour. Corro per un team Professional, nel quale mi trovo benissimo e a cui sarò sempre grato per la fiducia che mi ha dato quando ero Under 23, ma il mio pallino è crescere ulteriormente. Per questo continuerò a dare il massimo in ogni corsa a cui prenderò parte pesando ovviamente in modo particolare al Giro d’Italia».
Per preparare la corsa rosa hai scelto la Sicilia.
«Quest’inverno mi sono trovato molto bene a pedalare sull’isola così dopo il Giro di Sicilia sono rimasto sull’Etna in altura per 15 giorni. A dicembre sono stato fermo tutto il mese a causa di un problema al ginocchio, ho ricominciato ad allenarmi solo il 1° gennaio così, per accelerare i tempi ed essere pronto per le corse di febbraio, sono andato 10 giorni in altura sull’Etna. Il clima è mite, i paesaggi pazzeschi, per non parlare della cucina... Per fortuna non ho problemi di peso e il nutrizionista a cui mi affido, il dottor Luca Mondazzi del Centro Mapei Sport, inserisce sempre il dolce nella mia dieta nei giorni in cui mi alleno. Le soste al bar a base di pistacchio erano davvero una favola».
Dopo la lunga fuga della Sanremo cosa ti sei concesso?
«Solo una pizza con la famiglia (mamma Tiziana, papà Giancarlo, la sorella maggiore Elena, la fidanzata Vittoria e la mascotte Teo, il cavalier king che vive a Bergamo con Fausto e Vittoria, ndr). Mi aspetta un periodo intenso di gare, voglio restare concentrato. La mia ambizione per quest’anno è centrare una vittoria importante che faccia salire il mio valore, mi faccia notare. Voglio migliorare ulteriormente nelle corse a tappe, quelle più adatte alle mie caratteristiche. Torno al Giro d’Italia con la voglia di essere protagonista. Mi sto preparando al meglio e potrò fare affidamento sull’esperienza maturata l’anno scorso. Saprò gestirmi meglio avendo già provato cosa vuol dire faticare per tre settimane e potrò conoscere di più me stesso. La corsa rosa è una vetrina pazzesca, tra le corse che ho provato non c’è nulla di paragonabile sia per la durezza del percorso che per la popolarità dell’evento».
Cosa ti ricordi della tua prima volta al Giro?
«L’atmosfera, le persone, tutto quello che ruota attorno alla gara è impressionante. Mi avevano avvisato che il Giro era diverso dalle altre gare e, nonostante le alte aspettative, non sono rimasto deluso. Non mi era mai capitato di sentire un tifo così forte a bordo strada, è stato davvero bellissimo. La tappa abruzzese mi rimarrà nel cuore anche se essere ripreso a meno di tre chilometri dal traguardo dopo tutta una giornata in fuga non è stato il massimo. Il livello della corsa è stato pazzesco, per tre settimane ho potuto confrontarmi con i migliori al mondo. Non c’è quasi mai stato spazio per le fughe, siamo andati sempre “a tutta”, tanto da far segnare una media record. Ho imparato che bisogna arrivarci essendosi preparati senza lasciare nulla al caso, se no si deve sopportare una fatica quotidiana assurda».
Con che ambizioni ci torni?
«Dopo aver “picchiato il muso”, penso che ogni anno sarà sempre meglio. Sto cercando di colmare alcune lacune in salita e a crono, mi sto allenando più nello specifico per arrivare più pronto alla battaglia. Non penso potrò mai lottare per la generale, per essere tra i primi in un grande giro devi avere quel qualcosa in più del campione che io non ho. Potrò essere protagonista in salita, puntare alle tappe è un obiettivo più realistico. Io sono nato per correre in bici. Ho sempre voglia di pedalare, è la mia passione più grande. Non vedo l’ora di montare in sella quando sono a casa, figuriamoci nella corsa più importante di tutte».
Quanti tatuaggi hai?
«Quattro. Il primo che ho fatto è un teschio maori con gli occhi a forma di bici. Mi piaceva l’immagine, l’ho modificata per rappresentare la mia passione per le due ruote, me l’ha disegnata un tatuatore italiano che abita in Spagna. Poi ho un amuleto tailandese, che dovrebbe scacciare la sfortuna, sulla spalla sinistra e una scritta sempre in tailandese sul costato che raffigura la mia data di nascita nel calendario buddista. Due anni fa sono stato in vacanza in Tailandia, l’ho girata praticamente tutta e me ne sono innamorato. Infine sulla scapola destra ho la frase di una canzone che ha tatuato identica anche la mia fidanzata, ce la siamo fatti imprimere sulla pelle dopo un anno che stavamo insieme».
Pedali con la stessa passione di quando hai scoperto la bici?
«Sì, l’unica cosa che mi pesa del lavoro è lo stare per tanti mesi lontano da casa. Amo viaggiare ma siamo davvero sempre in giro per il mondo come trottole. Detto questo, anche quel poco che sto a Bergamo ho sempre voglia di andare in bici. Ho iniziato a correre a 6 anni, da G1, la passione per la bici mi è stata trasmessa da un amico, che aveva iniziato qualche mese prima di me. Correvamo nella stessa squadra, il Pedale Brembillese, alla mia prima gara io ho fatto secondo e lui terzo. Dopo pochi giorni lui ha smesso, io ho continuato fino ad oggi e spero di farlo ancora per molto. Dagli inizi fino alla categoria junior questo sport per me è stato un gioco, poi per quanto mi piaceva è diventato un impegno sempre più importante finchè non è diventato un lavoro a tutti gli effetti. Tra alti e bassi sono arrivato fin qui. In tasca nel frattempo mi sono messo il diploma da perito elettrico e tante belle esperienze. I chilometri in fuga continuano ad aumentare e ne sono felice. E ora...».