E’ un incrocio fra la corsa e il ciclismo, è un compromesso fra i piedi e le ruote, è la trasformazione della bicicletta in un bob, degli schettini in una slitta, di uno skateboard in uno skiroll. E’ pedalare spingendo, è pattinare scalciando, è volare tenendo i piedi a terra. E’ – verrebbe da dire, straparlando – “piedalare”.
E’ due ruote, un manubrio e una pedana. E’ il monopattino, è così da quando si pensò di aggiungere i pedali ai veicoli a due ruote, ed è così che ci fu la grande diaspora, da una parte i velociferi e dall’altra i velocipedi, da una parte le biciclette e dall’altra – appunto – i monopattini.
Adesso i monopattini (in inglese si diceva “scooter”) si chiamano footbike o kickbike, perché c’è chi ha avuto l’intuizione di eliminare quelle due ruotine che limitavano la velocità e la adattavano alle possibilità e alle capacità dei bambini, e inserire due ruote grandi come quelle delle bici, e dare un’accelerata ai mezzi, al movimento e alla disciplina, fino a far nascere un altro sport.
E così oggi i monopattini si vedono sulle strade, si valutano nelle granfondo, si apprezzano nelle pedalate. Partecipano perfino alle Bike Night, quel circuito di corse libere e notturne dove l’importante è pedalare (o anche piedalare) al chiaro di luna. E si organizzano. Lo fanno con la Uisp, sezione ciclismo, in manifestazione cicloturistiche.
A dire la verità, non è una novità. Tutto cominciò già lo scorso secolo, a Ivrea e nel Canavese, e subito si arrivò ad allestire campionati locali e perfino mondiali. Ma adesso c’è di tutto: dai materiali (acciaio, carbonio…) ai telai (design, misure…), dalle ruote (12, 16, 24, 28, 29…) agli usi (urbani e agonistici, c’è anche un modello pieghevole). Maria Turra, responsabile del settore Footbike per Uisp Ciclismo, spiega come “sul monopattino non ci sono pressioni e sollecitazioni per la schiena e per le articolazioni”, sostiene che “il gesto è molto fluido e rotondo”, giura che “ognuno può trovare il proprio passo e la propria andatura, perché i mezzi sono molto leggeri e privi di parti meccaniche: non c’è cambio, non c’è catena, non ci sono pedali”. E non c’è sella. Tant’è che, se fosse andato in monopattino invece che in bici, Luigi Ganna, il vincitore del primo Giro d’Italia nel 1909, al cronista della “Gazzetta dello Sport” non avrebbe mai potuto confidare: “Me brusa el cu”.
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