Tra i corridori italiani ancora “al vento” c’è Simone Antonini. Il 27enne di Empoli, professionista dal 2015 alla Wanty Groupe Gobert, dopo 4 stagioni nella massima categoria non è stato confermato dal team belga e ora fatica a trovare un posto in un’altra formazione.
«Io ci spero fino all’ultimo, ma il 31 dicembre si fa sempre più vicino. Mi sto guardando intorno, obiettivamente però i posti rimati liberi sono davvero limitati. Qualche squadra che mi avrebbe voluto prendere mi ha risposto che era già al completo. Ad agosto il team manager Jean-François Bourlart, faccia a faccia, mi aveva detto che ero importante per la squadra e apprezzava molto il mio lavoro, quindi ero abbastanza tranquillo di rinnovare il contratto. A inizio ottobre però io e il mio compagno irlandese Mark McNally abbiamo ricevuto una email in cui ci veniva detto che non c’era più posto per noi perché gli sponsor chiedevano di dare più spazio a giovani belgi. Siamo rimasti spiazzati, ormai era tardi per trovare un’alternativa. Lui ha una bimba, appena nata, e un mutuo da estinguere con la moglie. Si è già buttato nel mondo dell’import-export di sedie, tavoli… Io non ho ancora una famiglia da mantenere, posso prendermi un po’ più di tempo, anche se non è una situazione piacevole» ci racconta sconsolato.
Cosa pensa di questo sport sempre più precario? «In Italia non abbiamo squadre World Tour, soprattutto per i giovani questo è un problema. I pochi corridori forti che abbiamo li prendono le squadre straniere, gli altri possono sperare nelle Professional, ma anche quelle faticano nel nostro paese visto che gli sponsor non fanno a gara per investire nel mondo delle due ruote. Mi sono reso conto che c’è sempre meno comunicazione tra manager e corridori. Personalmente non ho rimpianti. Ho sempre dato il massimo e lavorato per i compagni. Forse sarei dovuto essere più opportunista, farmi i fatti miei in certe corse, ma non è da me non rispettare i compiti che mi vengono assegnati. Il ds della squadra mi sta dando una mano, ha chiamato altre squadre per segnalarmi, proprio perché sa che persona e atleta sono, ma temo sia troppo tardi. L’UCI dovrebbe tutelare maggiormente i posti di lavoro dei corridori».
Per il futuro non ha le idee chiare. «Mi dispiacerebbe lasciare così. Il ciclismo è una bella parentesi, per me è stata la migliore. In sella ho girato il mondo e vissuto tante avventure. Vorrei restare nell’ambiente. Ho raccolto un po’ di informazioni su una scuola di Fisioterapia a Perugia, sarebbe interessante lavorare con gli atleti per la riabilitazione dagli infortuni e per la preparazione invernale, ma è solo un’ipotesi. La mia fidanzata Martina lavora come agente di strumenti medicali, mi sta facendo conoscere il settore, le normative… Potrebbe essere un’altra alternativa. Sinceramente al momento ho la mente davvero confusa. Restare a piedi è stata una notizia inaspettata. Ho tante idee in testa, dovrò prendere una strada».