I nonni Nereo e Antonio lo hanno messo in bici da bambino, dando seguito alla loro comune passione, lui ha messo un libro sulla Prima Guerra Mondiale in valigia ed è andato fino in Turchia per cogliere la prima top ten da pro: Matteo Fabbro chiude così un ottimo primo anno da pro con la Katusha Alpecin.
Friulano di Codroipo, Matteo Fabbro è giunto nono sulla salita di Selkuc, nella tappa più impegnativa della corsa turca, provando anche un’accelerazione e buttandosi nello sprint ristretto vinto da Alexey Lutsenko. E alla fine, per il 23enne Matteo, un buon ottavo posto in classifica generale a Istanbul.
Perito meccanico presso il politecnico industriale Molignani, Matteo si era iscritto all’Università frequentando il corso di Storia: «Ma non riuscivo a coniugare al meglio ciclismo e studio - racconta - e per il momento ho lasciato stare. Ma mi piace molto la storia, ne sono stato sempre grande appassionato e magari un domani riprenderò gli studi. Mi tengo aggiornato, ad esempio adesso sto leggendo un libro sulla Prima Guerra Mondiale, me lo ha passato il mio vecchio direttore sportivo Renzo Boscolo, che ha studiato Storia. Parla delle mie terre, di Caporetto e della Guerra sul Carso».
Anche la sua storia in bici parla di alcune “battaglie”, a cominciare da quelle con i genitori che in un primo momento non avevano appoggiato questa passione, giudicandola troppo pericolosa.
«Ma venivo da due famiglie di ciclisti, i miei nonni mi hanno trasmesso questa passione. I miei hanno tentato di coinvolgermi in altre discipline come nuoto, calcio o atletica, ma alla fine hanno dovuto cedere. Hanno capito che era meglio così e per questo li ringrazio molto, altrimenti non sarei mai arrivato fin qui».
Riavvolgiamo il nastro: il 2017 è stato una montagna russa di emozioni, con molti momenti difficili e un finale da fuochi d’artificio. Dopo un ottimo 2016, sembrava dovesse essere solo una passerella e invece è arrivata tanta sfortuna con l’auto che lo ha investito a gennaio, la clavicola rotta ad aprile e poi di nuovo fratturata al Giro baby.
«Non è stato semplice rialzarsi, ma ho tenuto duro e i risultati sono arrivati, al punto che ho chiuso nel modo più emozionante possibile vincendo in casa mia a San Daniele: è stata una grande festa, il modo migliore di congedarsi, senza dubbio».
Prima di quella della Katusha Alpecin, Matteo ha indossato per qualche giorno la divisa dell’Astana.
«Ho fatto un camping training poco prima di cadere e fratturarmi una clavicola, sono ancora in contatto con loro, abbiamo un buon rapporto. Sono una grande squadra».
Poi la chiamata della Katusha.
«Il primo impatto è stato molto buono, al primo training camp ho dovuto calibrare il mio inglese perché un conto è studiarlo e un altro è conversare, ma dopo qualche iniziale difficoltà adesso va alla grande. Coi compagni? Mi trovo benissimo, ho legato molto con loro, ad esempio ho un bel rapporto con Nathan Haas oppure con Steff Cras, che è stato mio compagno di stanza in Turchia».
Un primo anno come un’università del ciclismo.
«Avevo tutto da imparare e ho cercato di assorbire il più possibile. Abbiamo organizzato un calendario piuttosto duro nella parte centrale della stagione, considerando che era il mio primo anno. Ho preso qualche bella batosta, che mi è servita per crescere».
E proprio con la maglia della Katusha aveva corso un suo idolo.
«Purito Rodriguez, mi è sempre piaciuto perché è piccolino come me. Ho avuto l’occasione di incontrarlo una sola volta e devo dire che è davvero un grande».
Il 2018 ha visto Matteo debuttare alla Vuelta Catalunya con un quinto posto nella classifica giovani e cimentarsi in numerose corse importanti come il Romandia (nono tra i giovani), il Tour of California, Delfinato, Clasica di San Sebastian, Artic Race e varie corse World Tour come Tour of Britain, Quebec, Montreal fino alle competizioni settembrine in Italia. Ma la partecipazione più importante è stata alla Freccia Vallone.
«È la mia corsa di un giorno preferita, quest’anno c’ero ed è stato emozionante».
Infine, il Tour of Turkey, con top ten raggiunta sia in una tappa sia nella generale.
«È arrivato un bel piazzamento e sono contento. Ma non lo vedo come un arrivo, quanto come un punto di partenza. Ho lavorato tanto, visto che era la mia ultima corsa in stagione. Sulla salita più dura ho tentato nel finale di anticipare tutti, ma il vento era troppo forte. Così ho provato la volata, dove ho raggiunto il meglio che potevo».
E il 2019?
«Ho fatto una pausa, a metà novembre ho ripreso di nuovo a pedalare, abbiamo due training camp a dicembre e gennaio. Stiamo definendo ora i programmi. Spero di fare un grande Giro il prossimo anno. E quello d’Italia è la corsa alla quale terrei di più partecipare, in quanto italiano».
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