Per molti è solo una sigla - SDS -, ma dietro quelle tre lettere c’è un personaggio chiave del Giro d’Italia: Stefano Di Santo. Ingegnere civile, classe ’63, dal 2006 è lui che dà corpo alle idee del direttore del Giro disegnando la cartografia della corsa più amata dagli sportivi: altimetrie, planimetrie, dettagli delle salite. Un personaggio chiave nelle ultime ore presente al sopralluogo della penultima tappa perché - anche se non vive nel territorio interessato da ogni tappa - vuole conoscere perfettamente, come se ci fosse nato, ogni strada e stradina; in caso di problemi, poi, è l’unico a poter suggerire varianti e alternative.
Ed è dalla sua penna che è uscito l’arrivo alle Buse, sul Monte Avena, quei 3,5 km di salita media al 12% che potrebbero fare la differenza alla vigilia della fine dell’intera corsa rosa.
Come ha iniziato questo lavoro?
«Nel 1995 ho conosciuto per caso Cesare Sangalli, lo storico cartografo del Giro d’Italia. Mi ricordo che disegnava le altimetrie su carta millimetrata usando il pennino e la china nera. Io progettavo piattaforme petrolifere, ho cominciato con lui con piccole collaborazioni nel 1998, gli disegnavo qualche salita. Dal 2003 ha cominciato a darmi ogni anno qualche cosa in più da fare. Nel 2006 Angelo Zomegnan prese la guida del Giro e mi chiamò per disegnarlo completamente con lui. In onore a Sangalli, da allora siglo i lavori come faceva lui, solo che con le mie iniziali. Mi occupo di tutta la cartografia, tabelle di marcia, studi di percorso eventuali, a seconda della tappa».
Quanto pesano i suoi suggerimenti?
«Mauro Vegni (il direttore del Giro, ndr) decide le città, le sedi di tappe, le frazioni di montagna,le salite da affrontare, poi io curo il dettaglio. A volte gli faccio una proposta, gli segnalo qualche cosa ho visto che potrebbe stare bene nel tracciato. Certe volte i miei suggerimenti vengono accolti, altre volte no. Ma se conosco qualche posto che non è mai stato toccato e vale la pena di essere visto, io ci provo e lo dico».
Come si studia il dettaglio di una tappa? Anche in bici?
«Molte strade le conosco per averle percorse in bici e in macchina. Ne conosco tantissime e quando vado in giro per lavoro o in vacanza annoto tutto, registro con il gsp. Poi uso le carte militari, le cartine anche se non sempre sono così aggiornate: la fortuna è che le montagne non si spostano. Ci sono anche le mappe gps open. Insomma, ogni tappa è un puzzle composto da tanti pezzi. In questo caso, parlo della tappa di Feltre, abbiamo utilizzato ovviamente la granfondo che nasceva con questo percorso: ho avuto poco da inventare perché c’era già un tracciato disegnato».
Disegnato per altro da lei, visto che firma le altimetrie della granfondo da quasi 10 anni?
«Sì e devo dire che è stato emozionante perché ho partecipato alla prima edizione di questa granfondo 25 anni fa. Poi il lavoro per il Giro è andato aumentando e io non sono piu riuscito ad allenarmi abbastanza per arrivare a Feltre pronto per pedalare la granfondo. Mi piacerebbe tanto tornare».
Come vede questa tappa nel contesto del Giro?
«Sarà una delle due tappe più difficili, assieme a quella di Ponte di Legno, che sarà la prima che provocherà sicuramente degli sconquassi. Questa è comunque quella che chiuderà le giostre. E’ molto lunga, molto faticosa, non ha salite singolarmente durissime perché il Passo Manghen purtroppo è troppo lontano dal traguardo, però essendo il ventesimo giorno di Giro i ciclisti saranno stanchi, i distacchi ci saranno comunque. Molte cose potrebbero cambiare proprio qui».