L’Italia non vince un altro Mondiale. L’Italia perde un altro Mondiale. Sono l’ultimo dei sorpresi. In caso di vittoria, avrei organizzato io il charter azzurro per Lourdes, sperando magari che Cassani dividesse con me le spese.
Abbiamo perso secondo il più elementare dei pronostici, come vuole logica e buonsenso soprattutto su un percorso così sincero. Ma ci sono anche diversi modi di perdere. Sinceramente, senza con questo voler dire che diversamente avremmo vinto, noi abbiamo perso nel modo più babbeo, tra tutti i modi possibili.
Sarà che sono nato e cresciuto gracilino, ma a me hanno sempre insegnato che non entri facendo il gradasso in un saloon dove girano certe ghigne da mettere spavento. Mi hanno insegnato che è molto più salutare stare schisci, defilati, senza dare nell’occhio.
Vengo al punto: a Innsbruck l’Italia si presentava molto, molto, molto gracilina, ma ha cercato la corsa bulla. Nel momento decisivo, sul finale, abbiamo recitato la parte dello Squadrone che non siamo, che non siamo più da un po’, che magari non saremo nemmeno più. Per dare la scossa, ci racconteranno gli strateghi. Ma quale cavolo di scossa vai a cercare se fatichi a stare lì, con le brutte ghigne che non aspettano altro, che con le provocazioni vanno a nozze, che anzi sfruttano proprio i primi cazzottini per scatenare la rissa seria.
Abbiamo visto come finiscono queste storie bulle. Certo stiamo orgogliosamente a parlare di un grande Moscon. Direi di un grandissimo Moscon. Ma sinceramente direi una parola anche sull’autolesionista Moscon, che nei chilometri cruciali, quando ogni singola unità di energia andrebbe tutelata come una pepita, va invece a chiudere buchi e a tirare davanti. Ma perché non starsene abbottonati e nascosti nell’angolo del saloon, aspettando che gli altri liberino un po’ il locale, sperando che magari alla fine ne restino in piedi pochi e allora anche un Moscon più fresco – meno brasato – potrebbe tentare qualcosa…
Non è andata così. Come succede da troppi anni, saremo chiamati a consolarci con la “prova generosa”, la “prova d’orgoglio”, la “prova da squadra”. Ma stavolta mi levo dal coro: questa è anche una “prova da pistola”. Senza con questo dire che abbiamo buttato via la vittoria: ci siamo capiti, si parla di tutt’altro, del modo migliore di uscirne battuti.
Personalmente, mi consolerò invece all’idea che il nuovo campione del mondo è un vero campione. Un tizio che sul podio ci finisce per la settima volta, un tizio che a 38 anni è sempre là davanti, un tizio che corre da febbraio a ottobre, classiche e grandi Giri, sempre allo stesso modo: benissimo. E vediamo se qualcuno trova il fegato per chiamarlo vecchio.