Ancora non ho smaltito lo choc. Più ci penso, più mi convinco che l’ultimo Tour non entra nella storia per la vittoria di Thomas, ma per la sconfitta del Tour. Della Francia e dei francesi. Una sconfitta umiliante e vergognosa, perchè non si tratta di perdere in una partita o in una gara, ma nel campo molto più importante e sensibile della civiltà. Saranno anche freschi di titolo mondiale nel calcio, ma subito a ruota si portano a casa come nazione pure quello della barbarie e della grettezza. Alla fine delle tre settimane, sui Campi Elisi è sfilato soprattutto un martire, tutti i giorni perseguitato a insulti, a sputi e a qualcos’altro: Chris Froome. E per piacere non cominciamo subito a dire che ben gli sta, che se l’è cercata, che è quanto si merita: per una volta non è questo il punto, non c’entra nulla l’interminabile diatriba sulle dosi di salbutamolo e di tutto il resto. Ciò di cui voglio parlare, in questo caso, è l’incredibile e imperdonabile scandalo della gogna di strada, lungo le celebrate strade di Francia.
Proprio così: non mi importa se Froome sia o no colpevole. Se è solo per questo, resto uno dei primi che a tempo debito, nell’autunno scorso, sostenevano la necessità di un’autosospensione dello stesso Froome. Me la sono presa con lui perché alla presentazione del Giro già sapeva del procedimento in corso e non aveva detto niente, me la sono presa anche con il Giro stesso che non aveva mosso un dito per provare a escluderlo. Dunque non sono iscrivibile, proprio per niente, alla cerchia degli amichetti di Froome. O degli innocentisti a prescindere. E’ un’insinuazione che rimando tranquillamente ai mittenti.
Ma una volta che poi le regole e i giudizi hanno stabilito per sentenza che Froome poteva correre il Tour, per me i discorsi sono finiti lì. Dal mio punto di vista, non è Froome, non è la Sky, non è il suo denaro a dover finire nel mirino, ma i regolamenti che hanno permesso tutto questo. Ovviamente, i regolamenti e chi li fa. Lui, il corridore, ha solo sfruttato una possibilità: pagandola a peso d’oro, ma lecita. Dunque, fine dei discorsi e partenza regolare al Tour.
È dopo che niente ha girato nel verso giusto. Il simpatico pubblico francese, incendiato da populisti molto poco prudenti come ad esempio il sommo Hinault, ha montato subito la ghigliottina e tutti i giorni ci ha dato dentro. Torno a dire: sono letteralmente incredulo di fronte allo spettacolo crudele - sì, crudele - che la gentaglia a bordo strada si è divertita ad allestire. Quando visitiamo il Colosseo trasecoliamo per il gusto sadico dei romani, pronti ad esaltarsi di fronte a gladiatori che si scannavano o a cristiani che diventavano stuzzichini per leoni, ma il trattamento riservato a Froome, rivisitato in chiave moderna, solo un po’ meno sanguinario, lo ricorda parecchio.
Alle belve dell’anonimato stradale (e da tastiera) chiedo soltanto di immaginare che razza di Tour abbia dovuto correre Froome. Cominciando all’uscita dall’albergo fino al ritorno serale, una continua lapidazione personale, a base di porcherie d’ogni genere. Ogni metro, ogni curva, ogni strettoia il terrore di finire tra le mani di un esaltato forcaiolo, orgoglioso di farsi giustizia da solo, in nome della Francia e della legge. È pensabile correre tutto un Tour così? Lo chiedo anche ai corridori, che già sanno come queste tre settimane non siano esattamente un gioco dell’oca. Ecco, provino ad aggiungere sopra la loro fatica, il loro stress, i loro rischi fisiologici anche il carico della furia popolare, quotidiana e capillare, in ogni momento e in ogni angolo di Francia. Proviamoci tutti a immedesimarci. Poi mi dica qualcuno se Froome non è un martire.
Nonostante tutto questo, Froome è rimasto lì. Non è scappato. Non ha sollevato scandali. Altri, al suo posto, se ne sarebbero andati tra i clamori e il vittimismo più legittimi. Lui no. Ha subìto, ha incassato, ha tirato dritto. E tra parentesi neanche tanto male, visto il risultato finale. Questo per dire che razza di fuoriclasse sia, anche solo a livello emotivo. E comunque: fosse anche arrivato ottantesimo, sarei qui a dirgli bravo. Con tanta ammirazione e tanti complimenti. La sporca faccenda del salbutamolo è una cosa, questo suo Tour tra gli sputi è tutta un’altra cosa. Nella vera storia del ciclismo, accanto alla vittoria finale di Thomas, passa qualcosa di molto più profondo: là dove non s’è mai vista una parvenza di umanità, là dove ha giganteggiato la brutalità della piazza giustizialista, è emersa la figura dignitosa di Froome. Non doveva esserci, continuo a pensarlo: ma poi ci è stato nel modo migliore, nelle condizioni peggiori. Per me, il vero vincitore è lui. A perdere è la Francia. E che nessuno mi venga più a raccontare quant’è caloroso e pittoresco il pubblico del Tour. Continuo a preferire il pubblico italiano: contaminato ormai da ubriaconi sbiottati ed esibizionisti megalomani, ma comunque ancora capace della virtù migliore, il rispetto. Per il campione preferito e per gli avversari, allo stesso modo. Sulle nostre strade, possiamo dirlo con orgoglio, non è mai passato un martire degli sputi. Se lo tengano i francesi, questo vile primato. E si tengano pure il Tour, se è così.
da tuttoBICI di agosto