IL PASTO AL GIRO. LE FATICHE DI NINO

STORIA | 09/06/2018 | 09:31
Giro d’Italia 1954. Giovedì 27 maggio. Sesta tappa: la Napoli-L’Aquila, di 252 km. Due uomini al comando, Carlo Clerici, svizzero ma di Como, e Nino Assirelli, italiano di Forlì, anzi, San Varano di Forlì, “una borgatella di campagna”. E’ la fuga-bidone: il gruppo li snobba, i due vanno al traguardo. E’ il patto: a Clerici la maglia rosa, ad Assirelli la tappa. Poi è il tradimento: nel velodromo di L’Aquila, Clerici non resiste alla tentazione e in volata precede Assirelli. Di un niente, di una mezza ruota, ma per la classifica, la storia, e per sempre. E quel vantaggio di 24 minuti su Nencini e di 34 su Fausto Coppi, Gino Bartali, Hugo Koblet e Fiorenzo Magni sarebbe rimasto incolmabile. A Milano, il Giro a Clerici, il secondo posto a Koblet, il terzo ad Assirelli. E i giri d’onore tra i fischi.

Nino ha 92 anni, abita a Forlì, ormai si muove a fatica, non ha avuto neanche la forza di vedere il Giro d’Italia Under 23, che pure passava vicino a casa sua. Ma il piacere di ricordare e la voglia di raccontare, quelli non invecchiano mai. La prima corsa: “Ero già vecchio, avevo 22 anni. Feci un paio di corse libere, poi passai dilettante, dove vincevo anche per distacco, infine, a 26 anni, professionista nella Arbos”. Il primo Giro d’Italia: “Nel 1953. La quindicesima tappa, la Torino-San Pellegrino, di 232 km, fu la mia fortuna. Andai in fuga, da solo, dopo neanche 10 km, e arrivai, da solo, dopo 223 km, da solo e stremato. Mai fatto tanta fatica in vita mia. Quel giorno vidi la Madonna, e non solo lei”. Il secondo Giro d’Italia: “Nel 1954. Quella fuga, quel patto, quel tradimento. Clerici mi fregò. E pensare che mi ero sobbarcato la maggior parte del lavoro”.

Sei anni nella Arbos, gregario di Pasqualino Fornara e Primo Volpi, un anno nella Legnano, gregario di Ercole Baldini e Arnaldo Pambianco, e quattro anni nella Ignis, gregario ancora di Baldini: “Borracce e bottiglie, bar e fontane, spinte e inseguimenti. Ogni tanto qualche fuga consolatoria. Mi massacravo di fatica per la gloria degli altri. Guadagnavo poco di più di un operaio alla Orsi Mangelli, fabbrica di filati qui a Forlì, ma era già abbastanza”. Il ciclismo è adesso una fabbrica di memorie: “Al Giro di Svizzera, all’arrivo di ogni tappa, c’era un bambino in bicicletta per ciascun corridore, in mano aveva un manifestino con il numero del dorsale e il nome dell’albergo, e scortava il suo corridore fino quasi in camera”, “Al Giro di Svizzera si mangiavano i migliori filetti che abbia mai assaggiato”, “Smesso di correre, prima aprii una lavanderia, poi per più di 50 anni tenni un negozio di caccia e pesca con mio fratello Alberto, io più pescatore, lui più cacciatore. Tutto quel po’ che ho avuto dalla vita me l’ha dato la bicicletta”.

Un mese fa si sono ritrovati, Nino, Baldini e Pambianco: “Siamo andati al ristorante e abbiamo recuperato storie di un secolo fa. E per un paio d’ore siamo tornati giovani”. La bicicletta ha, talvolta, anche la retromarcia.

Marco Pastonesi
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